Anni di insulti e botte fra due vicine, ma il Giudice di Pace rinvia tutto al Tribunale
Si sono scontrate verbalmente e fisicamente per anni, non sopportando un vicinato che ha messo in discussione anche le più elementari norme di comportamento civile. E alla fine, come si conviene in questi casi, l’odio tra dirimpettai è passato dalle mani alle carte bollate. Ma per essere «sanato» con una sentenza si dovrà ancora attendere, nonostante il via alla tenzone legale risalga ormai a cinque anni fa. Perché tra minacce e botte, lievi o pesanti a seconda delle contendenti, la questione è passata di aula in aula per capire quale magistrato debba prendere una decisione.
La donna che, nei battibecchi feroci con l’inquilina della porta accanto, ha avuto la peggio ha infatti denunciato la nemica trascinandola davanti al giudice di pace. Il quale, però, si è dichiarato incompetente a decidere in merito ed ha girato la patata bollente al tribunale. In corso Rosmini, dunque, hanno fissato la data dell’udienza ma il giudice monocratico ha ravvisato dubbi, appunto, sul magistrato deputato a dirimere la disputa ed ha spedito gli atti del contenzioso agli «ermellini» romani. La corte di cassazione, adesso, dopo aver studiato le carte ha emesso la sua «sentenza»: del caso deve occuparsi proprio palazzo di giustizia perché tra lesioni e, soprattutto, minacce la competenza non può essere del giudice di pace.
Lo scontro sul ring del pianerottolo di casa, insomma, riparte da zero. E il prossimo anno, in tribunale, saranno ricostruite le battaglie tra due donne che proprio non si sopportano e che sono arrivate persino a picchiarsi.
L’epilogo delle discussioni, come detto, è sfociato in violenza con tanto di referto del pronto soccorso dopo che a lungo era rimasto incanalato sui binari degli insulti. Ma un bel giorno di giugno 2015 è scesa la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso con una delle due rivali che, dopo aver minacciato l’interlocutrice («te ne devi andare, ti brucio la casa!»), si è spinta oltre affidando la sua rabbia prima ad uno schiaffo e poi alla presa da wrestling al collo.
La vittima della furia da malvicinato, ovviamente, si è fatta medicare all’ospedale Santa Maria del Carmine uscendone con un referto di 20 giorni salvo complicazioni. Che, inevitabilmente, si sono materializzate visto che, passate le tre settimane, è arrivato un altro certificato medico con ulteriori sette giorni di riposo assoluto. E il primo discrimine risiede proprio qui: per venti giorni, infatti, le lesioni sono a querela di parte ed il fatto è considerato lieve, da giudice di pace appunto; oltre, invece, si passa al procedimento d’ufficio e alle «cure» del tribunale ordinario. In questo caso, poi, ci sono pure le minacce che aggiungo un reato al fascicolo. «Tale contestazione - rileva in sentenza la suprema corte di cassazione - reca, al capo “a”, la descrizione di una lesione con durata della malattia superiore a venti giorni, quindi perseguibile d’ufficio e non rientrante fra i reati rimessi alla cognizione del giudice di pace, bensì fra quelli per i quali è stabilita la competenza generale del tribunale. La contestazione reca inoltre, al capo “b”, la descrizione di un reato di minaccia commesso, secondo l’impostazione accusatoria, con una condotta unitaria rispetto a quella generatrice dell’altro reato, in modo tale che possa ravvisarsi la ricorrenza di quella sola ipotesi di connessione che determina la competenza del tribunale, giudice superiore, anche per il reato che rientrerebbe, in astratto, nella competenza del giudice di pace. In conclusione, la competenza a conoscere dei reati contestati spetta al tribunale di Rovereto, cui gli atti vanno conseguentemente trasmessi».