I familiari di Eleonora Perraro al processo: "Vogliamo giustizia per lei, e per tutte le donne"
Appesantito, senza luce negli occhi e lo sguardo verso il banco della giuria, fisso su un punto che vede solo lui. Due parole due con l’avvocato difensore e le mani che si massaggiano i polsi un attimo dopo essere stati liberati dalle manette. Marco Manfrini ha deciso di esserci. In fin dei conti il processo che lo vede protagonista in corte d’assise a Trento riguarda la sua vita futura. È accusato di aver massacrato di botte e soffocato la moglie Eleonora Perraro. E l’imputazione è pesante: omicidio volontario aggravato.
Per la procura è stato lui. E ha agito con estrema ferocia, arrivando perfino a picchiare selvaggiamente il cagnetto della coppia. Da questa lunga serie di udienze rischia di passare dai domiciliari nella sua casa di Rovereto al carcere a vita. Perché questa è la pena massima prevista. A puntare il dito su di lui e a chiedere giustizia («non solo per noi ma anche per tutte le donne vittime di femminicidio, che sono sempre di più in Italia», butta lì la sorella di Eleonora, Erika) c’è uno stuolo di legali di tutto rispetto: sei, compreso il pm, contro la sola Elena Cainelli che ha messo sul tavolo «carte» che la corte non ha voluto ammettere: troppo generiche, troppo «esplorative» e, tra l’altro, capaci di infangare la memoria di chi non c’è più e, proprio perché spedita senza pietà al creatore, non può nemmeno difendersi, dire la sua.
La difesa vorrebbe provare a dare altre risposte e alla contestazione di cercare una strada diversa senza un minimo di indizio (l’avvocata ha chiesto una perizia sulle cellule dei telefonini, per capire se ci fosse qualcun altro nei paraggi del «Sesto Grado» di Nago la notte dell’omicidio e ha insistito per ammettere testi che dovrebbero tracciare un profilo morale della vittima) ha replicato che «ho solo ricevuto il mandato di accertare la verità».
La prima udienza, come da copione, è filata via sulle eccezioni e sulle liste dei testimoni. Che saranno una quarantina, con l’ultimo giorno riservato al contraddittorio tra consulenti di parte, i periti insomma. Compreso un veterinario, perché le botte da orbi al cane non sono un contorno senza senso di una scena del crimine che ha fatto rizzare i capelli agli inquirenti ma una prova della violenza inaudita che ha trasformato una notte d’allegria in una tragedia disumana. Ad accusare l’imputato durante tutto il processo c’è poi l’associazione Coordinamento donne che gestisce il centro antiviolenza di Trento. Ha provato la difesa a toglierla dal tavolo delle parti civili ma la presenza è stata confermata. E non è un familiare privato brutalmente di un affetto ma l’insieme delle grida di dolore, dell’indignazione, della necessità di giustizia che hanno tutte le donne, una ferma condanna al femminicidio dilagante e all’opportunità di dire basta in maniera concreta.
Marco Manfrini, dunque, non è alla sbarra solo perché ritenuto l’assassino di sua moglie ma è anche capro espiatorio di una quantità spaventosa di fantasmi resi tali dalla furia di uomini senza dignità.
A stabilire se l’artigiano roveretano sia davvero il mostro che intende il pm De Angelis è una giuria equamente divisa: i due giudici togati sono Giuseppe Serao e Greta Mancini; al loro fianco i sei popolari, tre donne e tre uomini. Per la famiglia di Eleonora, presente in aula, è comunque un pugno allo stomaco, un ricordare attimi terribili, un riaprire una dolorosa ferita che, in verità, non si è mai rimarginata.
D’ora in avanti - le prossime udienze sono state fissate il 2 marzo per i testimoni di accusa e parti civili, il 30 per quelli della difesa e il 27 aprile per i periti - quella maledetta notte in faccia al Benaco sarà ricostruita particolare dopo particolare. E sarà dura, durissima. Ma tutti hanno comunque voglia di chiudere in fretta il caso. A tal punto che sono stati allertati anche testimoni di riserva, sostituti in grado di presentarsi in aula in caso di impedimento di qualcuno. Non ci saranno però i medici del pronto soccorso e nemmeno psicologi e psichiatri che hanno avuto contatti con la vittima. Neanche gli «ex» della coppia saranno chiamati a deporre, depennati perché ci si vuole concentrare sui fatti del 5 settembre 2019 rispettando il passato e la memoria. Per la corte d’assise non ha senso gettare fango. E lo ha detto chiaro il pm De Angelis:«Non dobbiamo processare la vittima».
Concordi le parti civili (Luca Pontalti, Andrea Tomasi, Claudio Losi, Alessandro Meregalli ed Elena Baggioni): «Discutere delle qualità morali è processualmente irrilevante». Lo scontro, dunque, sarà inevitabilmente tra i consulenti più che su quanto diranno i testimoni. Perché il quadro è chiaro, la scena raccapricciante e l’imputato non ricorda nulla. Si cercherà quindi di capire come fosse il rapporto tra marito e moglie e cosa potrebbe aver portato alla lite. Ma anche qui si profilano già dei macigni: su tutti l’autopsia che spiega la crudeltà con cui è stata tolta la vita ad Eleonora, trattata come una bambola di pezza da gettare nei rifiuti. E si discuterà pure su un eventuale vizio di mente di Manfrini, escluso in tutta la fase preliminare.
Sarà dura per la famiglia, si diceva. E già ieri è stato provante: «Non pensavo che venisse in aula ma ero pronta a vederlo. - sussurra Erika Perraro - Però nulla mi riporterà indietro mia sorella. Ora mi aspetto giustizia per dare coraggio alle tante donne che pensano che non esista; devono capire che possono parlare ed uscire dall’incubo».
(L'imputato, Marco Manfrini, ieri in Aula a Trento - foto Alessio COSER)