Sportivi più fiacchi dopo il Coronavirus. Il dottor Dorelli: "In vari casi sotto sforzo una lieve inefficienza respiratoria”
Al Cerism di Rovereto (Centro di ricerca sport, montagna e salute) molti test chiariscono le conseguenze: “Spesso si deve fare i conti con disturbi dell’umore e del sonno. Gli anziani col declino cognitivo”
ROVERETO. Dopo aver contratto il Covid, chiunque faccia attività sportiva agonistica, per ricominciare deve rifare la visita sportiva. Così, a Rovereto, il Cerism (Centro di ricerca sport, montagna e salute, diretto dal professor Federico Schena) è spesso alle prese con atleti al rientro.
Ma il centro di ricerca (istituito dall'Università di Verona) non si limita ai test fisici: raccoglie dati e analizza la situazione. Per capire meglio cosa implica aver contratto la malattia, abbiamo parlato con il dottor Gianluigi Dorelli.
Dottor Dorelli, sentiamo spesso di sportivi positivi al coronavirus: calciatori, pallavolisti, cestisti, nuotatori, ciclisti, sciatori... Cosa comporta per un atleta prendere il Covid?
«Intanto va ricordato che chiunque abbia contratto la malattia in forma medio grave ha spesso dovuto fare i conti, una volta guarito, con disturbi dell'umore e del sonno. Nelle persone un po' più avanti con gli anni, anche con un declino cognitivo come ad esempio perdita di memoria».
Cosa intende per forma medio-grave? Persone ospedalizzate?
«Non necessariamente. Diciamo che mi riferisco a chi ha avuto la febbre per cinque, sei giorni. Quando la febbre rimane per diversi giorni è molto probabile che si sia verificata una viremia: in parole povere significa che il virus circola nei tessuti di tutto l'organismo. Tale circolazione può favorire delle infiammazioni a livello locale e la peggiore è la miocardite, cioè un'infiammazione al cuore».
E questo riguarda anche gli atleti?
«Certo. Dopo il Covid, tutte le visite servono principalmente per escludere le miocarditi».
Può spiegare brevemente cos'è la miocardite?
«In estrema sintesi, diciamo che il cuore è fatto di muscolo, tessuto fibroso che crea la struttura, e un tessuto di conduzione che trasporta gli impulsi elettrici determinando la contrazione. Quando c'è la miocardite i meccanismi che condizionano l'impulso elettrico possono andare per conto proprio e, nel peggior caso, degenerano in aritmie. Che, per intendersi, sono la principale causa di decessi degli atleti».
E il Covid innesca spesso la miocardite?
«No. Per quanto abbiamo potuto rilevare, la connessione non è molto frequente ma al termine della malattia va esclusa a ogni costo e per questo si fa una visita mirata».
Se incappa in una miocardite un atleta è compromesso?
«In genere, specie in soggetti giovani e atletici, la miocardite è reversibile. Per fare un esempio: tutti i casi di miocardite riconducibili al vaccino (è un effetto collaterale) sono stati gestiti senza alcuna compromissione. Ricorderei comunque che i casi di miocardite causati dal vaccino sono infinitamente minori rispetto a quelli dovuti alla contrazione della malattia».
Oltre la miocardite, dopo il Covid, che altri problemi si possono presentare per un atleta professionista o amatoriale?
«Nei nostri studi abbiamo notato che circa un quarto degli atleti che hanno contratto il Covid, anche in maniera lieve, ancora dopo sei mesi o più, presentano un'inefficienza respiratoria: sotto sforzo respirano un po' di più rispetto a quanto sarebbe necessario».
A cosa è dovuto?
«Non siamo stati ancora in grado di spiegarlo. Lo abbiamo osservato ma stiamo ancora lavorando per capirne le cause. Può essere un fenomeno indotto direttamente dal virus ma potrebbe anche essere un compenso di chi ha avuto una malattia polmonare».
Avete rilevato altri tipi di conseguenze?
«Alcuni atleti che hanno passato la malattia in forma lieve, dopo essere guariti si sentono fiacchi e anche i test atletici sono meno performanti. Dicono di non riuscire a spingere o di avere subito il fiato corto. E questo nonostante non presentino alcuna anomalia clinica, dunque miocarditi o inefficienze respiratorie».
E tale conseguenza avete capito a cosa sia dovuta?
«Stiamo studiando. Stiamo anche cercando di verificare se questa spossatezza sotto sforzo possa essere causata dalla carenza di allenamento che ha prodotto il virus. Perché stiamo parlando di atleti».
I casi di cui stiamo parlando sono frequenti?
«No, la grande maggioranza di chi ha contratto il virus in forma lieve torna esattamente come prima, soprattutto i giovani, ma noi come specialisti dobbiamo verificare cosa può accadere. Sono casi limitati ma ci sono».
Secondo i vostri studi, fare sport è davvero un antidoto al Covid?
«I fattori di rischio che possano far degenerare in maniera importante il Covid sono principalmente la pressione alta, il diabete e l'essere in sovrappeso. Diciamo che chi fa esercizio fisico regolare e anche con una certa intensità, senz'altro riduce le possibilità di incrociare il Covid con gli altri fattori di rischio. Poi se la domanda riguarda esplicitamente il coronavirus, non ho dati a disposizione per rispondere. Di sicuro però meglio chiarire che nessuno può sentirsi immune dal Covid perché fa sport».