Il sommelier del sidro si chiama pommelier: la storia di Marco di Rovereto (che lo assaggia ma lo produce pure)
Corso e diploma in Inghilterra, e adesso ha recuperato un centinaio di alberi di melo centenari a Boccaldo: alla ricerca della qualità con la bevanda «della Quercia Vecchia»
ROVERETO. Pommelier. Nessun errore di battitura: è il sommelier specializzato in sidri. Sidri al plurale, sì, perché questo è un mondo caratterizzato da una straordinaria varietà.
Di pommelier, nel mondo, ce ne sono molti, soprattutto in Paesi come l'Inghilterra. In Italia al momento ce n'è uno solo: si chiama Marco Manfrini, è di Rovereto, ha 30 anni e divide il suo impegno tra il meleto didattico all'Orto San Marco (ospite del progetto "Setàp"), l'Associazione Leno Klandestino che mantiene vive antiche colture nelle valli del Leno, il lavoro da contadino per un'azienda agricola lagarina e varie consulenze, in tutta Italia, per visite nelle cantine, serate di degustazione, eventi per conoscere un prodotto che ha le potenzialità per diventare (o tornare?) molto familiare anche nel nostro Paese.
Buona parte del suo tempo Manfrini la spende nel laboratorio dove prova ingredienti e ricette per affinare il "suo" sidro, per ora a livello casalingo, amatoriale. Il logo scelto per il suo prodotto è la quercia e non una qualunque: quella che si incontra, su un tornante, salendo verso Trambileno, con una forma molto particolare e nota a chiunque percorre quella strada. «Oak city cider» è il nome del progetto che, in inglese, cita chiaramente la città di Rovereto (per chi non conosce la lingua, Oak significa Quercia).
Dell'Orto San Marco, vicino allo Stadio Quercia, si è parlato spesso in passato: è un'area "salvata" dal cemento e rimasta agricola che ospita un gelseto, piante aromatiche e da orto e - qui viene la parte di Marco - un meleto didattico, appena piantato, che sta crescendo. Sono state scelte, con l'aiuto del Vivaio Omezzolli di Arco, una serie di varietà antiche: diverse decine di piante, ma tutte autoctone del Trentino. Proprio qui sorgerà un punto vendita a servizio dell'intera attività, sidro compreso.
Partiamo dall'inizio: come nasce questa idea? Hai studiato da agronomo? «Macché: ho un diploma da tecnico dei servizi sociali, ma finita la maturità mi si è presentata l'occasione di una stagione di vendemmia da De Tarczal di Marano d'Isera: stagione iniziata nel 2011 e diventata il mio lavoro fino al 2018. In parallelo, ho iniziato una collaborazione col birrificio Klanbarrique, che lavorava alla Sega di Rovereto - Opificio delle idee, dove ora ha sede l'associazione culturale Leno Klandestino che, tra le altre cose, propone serate di degustazione enogastronomica».
Dunque hai scoperto la passione per l'agricoltura e la fermentazione. «Infatti, poi un viaggio in Inghilterra, dove ho alcuni parenti, mi ha indirizzato verso il sidro, che in realtà ho sempre apprezzato. Ho vissuto un periodo nell'Herefordshire, ho lavorato e studiato, quindi ho sostenuto l'esame alla London Beer & Cider Academy. Prevedeva 3 esami scritti e un'ultima prova con una serie di degustazioni alla cieca».
Di ritorno in Italia, Marco aveva le idee chiare: possibile che il Trentino, terra di mele e cantine, abbia rinunciato a produrre sidro? «Se guardiamo al passato troviamo che, a un certo punto della storia, durante il Ventennio, la produzione di fermentati da frutta - sotto un certo tenore alcolico - fu proibita. Probabilmente prima questa pratica era diffusa: pensiamo al "vin picol" di cui abbiamo sentito parlare dai nostri nonni. Fatto il vino, si recuperavano le vinacce e, aggiungendo acqua e zucchero, si faceva questa bevanda con bassa gradazione. Ma ovviamente c'era chi lo zucchero non se lo poteva permettere e sopperiva con la frutta, magari quella che non si mangiava ma aveva un suo contenuto zuccherino.
Nei campi di cui mi occupo ora a Boccaldo ci sono una ventina di meli centenari: alberi i cui frutti non sono esclusivamente da tavola, ma vanno benissimo come varietà da sidro. Si tratta di veri e propri documenti di storia, piante sfuggite a quei provvedimenti perché è chiaro: se non si poteva più far sidro era inutile mantenerle. In questo sta molto del gusto del mio attuale impegno».
Oggi Marco collabora con aziende e festival in tutta Italia, tra queste Slow food, ogni anno tiene un paio di lezioni all'Istituto di San Michele, con «Acido Acida Ferrara British Beer Festival», a Rovereto «Robe da chiodi»; tornando al livello nazionale, Vinifera e, annuncia: si sta lavorando per un Festival del sidro a Bologna.
E dove producete il vostro sidro? «È un alcoolico, dunque dobbiamo essere ospitati da strutture dedicate: in questo caso il sidrificio Appleblood di Nave San Rocco: noi portiamo materia prima e ricetta e loro ci seguono nella lavorazione».
Ma il sidro, dunque, si produce in tutta Italia? «Ovviamente la cosa avviene soprattutto nelle zone di produzione della mela, ma mi sono sorpreso di aver avuto contatti anche con Sicilia, Campania e Sardegna: non scordiamo che parliamo di mele non da tavola ed è una continua scoperta. Il bello è andare alla ricerca proprio di queste varietà particolari, mele che possono dare profumi irripetibili. In Trentino sarebbe facilissimo comprare - per pochi soldi - le mele da tavola di seconda o terza scelta,,. per poi lavorare su procedura e ricetta. Ma non è questo il mio intento».
Parlaci delle varietà. «Possiamo distinguere i sidri in 5 grandi famiglie. Quelli ricavati da mele da tavola; quelli da mele tanniche; quelli aromatizzati che possono impiegare erbe, altra frutta, fiori, spezie, luppolo e tutti i possibili affinamenti in botte; quelli di pera e gli ice cider. Questi ultimi sfruttano il congelamento «crioconcentrazione» - che anticamente avveniva in maniera naturale lasciando il succo esposto al freddo - per concentrare il prodotto.
Per chi vuole un assaggio del sidro di Marco, l'ideale è una visita alle serate organizzate alla Sega, all'Opificio delle idee.
Il tuo futuro è quello del pommelier professionista? «Il mio presente è quello di lavorare per aumentare la cultura del sidro in Italia. Ci sono diversi ragazzi che stanno per diventare pommelier e il bello sarà lavorare in rete. La cosa più bella di tutte resta però, per me, la scoperta delle varietà di frutta e la sperimentazione nel processo di fermentazione. Il sidro è quella bevanda che si lavora come il vino e si beve come la birra».