Storia del depuratore roveretano Aquaspace sequestrato da quattro anni (e non è ancora finita)
Dopo l’inchiesta dell’Antimafia, con l’ipotesi di smaltimento illecito di rifiuti, sono iniziate le udienze del processo: fra intercettazione telefoniche e perizie, serviranno altre trenta giornate di dibattimento
ROVERETO. Il dissequestro di parte dell'impianto di depurazione ancora non c'è - e non arriverà prima di un anno, sempre che le cose per Aquaspace finiscano bene in tribunale - ma finalmente si è aperto il dibattimento su uno dei casi giudiziari più spinosi degli ultimi tempi. Soprattutto perché ha rischiato di dare una mazza all'occupazione. In temi ambientali, però, la procura non transige anche se le considerazioni di accusa e difesa sono ovviamente diametralmente opposte.
A livello pratico, comunque, sono passati quattro anni da quando l'impianto dell'Aquaspace è stato sequestrato e da allora, nonostante i ricorsi, non è mai stato concesso lo sblocco dei lucchetti. Ed ora è praticamente certo che la speranza di tornare ad utilizzare quell'«angolo» fondamentale di fabbrica, per l'imprenditore Giulio Bonazzi, sia legata solo ad un'eventuale sentenza di assoluzione. Che, come detto, arriverà nel marzo 2023 dopo dieci udienze già calendarizzate.
A giudizio sono finiti il direttore dello stabilimento Tiziano Battistini, imputato per il reato di traffico illecito di rifiuti, e la stessa società. E a dirimere la questione saranno trenta testimoni, venti dell'accusa e dieci della difesa. I primi quattro funzionari dell'Appa (l'Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente) sono stati ascoltati alla prima udienza, durata, per la cronaca, otto ore e mezza.
Prima di avviare l'escussione dei testi, però, sono state infilate nel fascicolo le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche disposte durante le indagini dalla Dda (la Direzione Distrettuale Antimafia). A chiederlo al giudice sono stati gli stessi pubblici ministeri Davide Ognibene e Alessandra Liverani.
Un passo, questo, concepito come fondamentale in un procedimento giudiziario complicato ma al quale è appeso il futuro di due aziende: la stessa Aquaspace e la vicina Tessilquattro. Quanto ai fatti, il caso è partito da un'indagine della Dda di Trento sul trattamento rifiuti di Aquaspace: la parte chimica dell'impianto - che in forza di un'autorizzazione gestiva fino a 162mila tonnellate l'anno di liquidi, di cui 63mila pericolosi - secondo l'Appa e i pm non lavorava in modo corretto.
E così nel febbraio 2018 il Noe e l'Appa hanno apposto i sigilli al solo settore chimico di via del Garda, da quel momento fermo. Ora funziona solo la parte biologica, che garantisce la depurazione a Tessilquattro. In quattro anni la tesi della procura non è cambiata, così come non è cambiata quella dell'azienda.
Secondo l'accusa quell'impianto lavorerebbe in modo scorretto per tre motivi: avrebbe accolto rifiuti che non poteva trattare, avrebbe miscelato rifiuti pericolosi di diversa natura e, soprattutto, non avrebbe davvero trattato i rifiuti inquinanti, li avrebbe solo annacquati.
La difesa - rappresentata dagli avvocati Andrea Tomasi e Paola Ficco - contesta in toto la ricostruzione: quell'impianto miscela i rifiuti perché una volta entrati non sarebbero più tali ma di fatto materie prime. E l'accostamento di sostanze antagoniste servirebbe per abbattere gli inquinanti che non sarebbero quindi diluiti ma trattati come da autorizzazione.
Le continue richieste di dissequestro, però, sono sempre state disattese e, per riavere l'impianto in funzione oppure per chiuderlo in maniera definitiva, si dovrà attendere la primavera del 2023, sempre che la sentenza sia favorevole all'Aquaspace.
Il calvario industriale dell'azienda di via del Garda, insomma, continua perché c'è in ballo pure il rinnovo dell'autorizzazione a smaltire rifiuti da parte della Provincia, un atto che, ancorché amministrativo e non penale, rischia però di far perdere posti di lavoro. Al di là dell'aspetto penale, infatti, a preoccupare è l'eventuale contraccolpo occupazionale.
Le rassicurazioni del patron Giulio Bonazzi - che ha sempre garantito che nessuna azienda verrà chiusa prima della fine della vicenda - hanno fino ad oggi permesso ai lavoratori di dormire tranquilli ma è evidente a tutti che quello di adesso, con l'impianto Aquaspace che funziona a mezzo servizio, è un equilibrio che non potrà durare in eterno.
L'imprenditore, per ora, resiste. E cercherà di farlo ancora per un anno. Sperando che alla fine la sua linea difensiva abbia la meglio e che, sentenza a parte, arrivi finalmente il dissequestro per poter tornare a lavorare a pieno regime e dunque assicurare l'occupazione in Vallagarina.