Senza colpevoli l'attentato al tribunale: assolti i tre anarchici accusati di terrorismo
Per la corte d'assise d'appello, come già per il primo grado, gli indizi raccolti non hanno provato le responsabilità dei tre imputati per il rogo del 5 febbraio 2019 sul portone laterale del palazzo di giustizia
ROVERETO. Un assalto in piena regola, senza feriti e con danni tutto sommato limitati - si parla di una porta bruciata - ma inquietante nell'obiettivo: il tribunale. Non un luogo qualunque, dunque, ma il palazzo dove si amministra la giustizia.
Un attentato incendiario, per la cronaca, che ha svegliato la città alle 2.28 di un inizio febbraio pre-Covid 2019. Un colpo forte, agghiacciante, che ha destato i residenti di via Prati che, affacciandosi ai balconi, hanno visto prendere fuoco il portone laterale. Si tratta dell'ingresso secondario.
Pochi metri più in là, sul muro del vecchio carcere, è poi apparsa la firma, la scritta che spiegava il gesto: «Tutti liberi, fuoco ai tribunali». Per quell'azione ritenuta terroristica dalla procura, però, non ci sono colpevoli. I tre imputati, identificati dopo un certosino lavoro di indagine, sono infatti stati assolti perché il fatto non sussiste.
Per la corte d'assise d'appello, come già per il primo grado, i tanti indizi raccolti non hanno provato che la manina incendiaria appartenesse ad uno tra Andrea Parolari, Nicola Briganti e Marie Antonia Sacha Beranek, per altro già coinvolti nell'attentato alla sede della Lega di Ala.
Gli imputati, difesi dall'avvocato Andrea De Bertolini, per la legge non c'entrano nulla. Anche se, quella notte balorda, erano in giro in bicicletta nell'area. E Rovereto non è certo la New York che non dorme mai ma prove, evidentemente, non ce n'erano. E pensare che le accuse non erano pesanti: pesantissime, compreso l'attentato per finalità terroristiche o di eversione, sufficiente per essere giudicati davanti all'assise e non al giudice monocratico.
Tanto la procura di Rovereto che quella generale di Trento, ovviamente, hanno provato in tutti i modi a collegare i tre anarchici all'assalto.
Perché, danni a parte, il gesto resta e resterà sempre inquietante. I Ros, non a caso, si sono buttati a capofitto nelle indagini estrapolando da tutte le telecamere della zona la presenza di alcuni individui che, secondo la ricostruzione, avrebbero dovuto essere gli autori materiali della bomba incendiaria. Alla fine sono usciti tre nomi, tutti notati quella notte gironzolare nei paraggi. Andrea Parolari, per esempio, è uscito di casa in bici proprio in quelle ore, Nicola Briganti era atteso nel parcheggio da Antonia Sacha Berankek.
Sotto la macchina della donna, per capirci, era stato piazzato un Gps e quindi la posizione era certa. Le varie telecamere posizionate in quell'angolo di urbe, soprattutto quella della «Risto3», hanno poi immortalato due ciclisti pur senza inquadrarli in faccia. Intrecciando tutti i fili, per la procura c'erano pochi dubbi sugli attentatori.
Di questo avvisto, però, non sono stati né la corte d'assise né tanto meno la corte d'assise d'appello che, come detto, hanno accolto la tesi dell'avvocato difensore Andrea Bertolini assolvendo gli imputati.
I sospetti, già all'alba del 6 febbraio 2019, si sono concentrati subito sul movimento anarchico. Anche perché, quella mattina, in aula si sarebbe celebrato un processo contro alcuni antagonisti coinvolti nei disordini moriani legati al vallotomo. Il colpo, inutile negarlo, aveva destato scalpore. Perché il tribunale dovrebbe essere il palazzo meglio sorvegliato della città. Ma, ahinoi, poco addocchiato dal Grande Fratello.