Rovereto, Pfas nell'Adige: la Provincia ordina controlli al depuratore al Navicello
Gli inquinanti provengono dal percolato della discarica della Maza di Arco, che vengono trasportati e smaltiti a Rovereto per poi finire nel fiume
ALTO GARDA Sarca con Pfas quasi a zero: attesa per i nuovi dati
IL PUNTO Qualità dell’acqua e Pfas, la Provincia: «monitoraggi costanti»
ROVERETO. Sarà che «la situazione è sotto controllo e i monitoraggi da parte di Appa sono costanti e rassicuranti» e che «i Pfas nell'acqua ci sono ma sono sotto la soglia di rischio» come rassicuravano amministratori e tecnici provinciali a fine giugno scorso, ma in ogni caso è sempre meglio vederci chiaro e verificare puntualmente la presenza di agenti inquinanti di nuova generazione nelle acque dell'Adige.
Lo dice chiaramente la delibera con la quale la giunta provinciale in merito alle prescrizioni in ordine alla compatibilità ambientale del progetto di modifica dell'"Impianto integrato di ossidazione ad umido dei fanghi biologici e trattamento reflui" al Navicello aggiorna il piano di monitoraggio e controllo inserendo alcune novità importanti.
Novità che riguardano il monitoraggio delle acque di raffreddamento prelevate dalla falda e scaricate nel fiume Adige: attualmente è previsto per il tetracloroetilene (solvente impiegato nell'industria ma anche per usi domestici) mentre ora si aggiungono anche le sostanze perfluoroalchiliche (Pfas). La campagna di monitoraggio di durata triennale delle acque relfue a monte del rilancio ad depuratore di Rovereto, con cadenza annuale per tutta una serie di parametri, verrà invece effettuata con cadenza trimestrale per i Pfas. Infine al termine di ogni anno di monitoraggio dovrà essere presentato al settore qualità ambientale dell'Appa un rapporto di sintesi dei risultati analitici e al termine del monitoraggio complessivo dovrà essere presentata una relazione finale.
Si torna dunque a parlare di Pfas e l'attenzione da parte dell'ente pubblico a questi inquinanti di nuova generazione come vengono definiti è diventata più puntuale grazie anche alle preoccupazioni e alle proteste sollevate da associazioni e comitati spontanei che si occupano di tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini dopo la scoperta della pericolosa sostanza cancerogena finita nel Sarca e nel lago.
Ma se nell'Alto Garda (con la discarica della Maza e il depuratore del Linfano) il livello di attenzione si è alzato, non da meno è Rovereto dove una concentrazione di Pfas è stata individuata in zona industriale ed in particolare nell'area ex Gallox. Che, per altro, attende da anni la bonifica. E se la concentrazione di Pfas non è tale da costituire, secondo le tabelle ministeriali e le rassicurazioni degli amministratori pubblici, un pericolo immediato per la popolazione, la questione non va sottovalutata tanto che nella " proroga dell'efficacia della valutazione positiva di impatto ambientale del Navicello" la giunta Fugatti ha indicato specifiche direttive in merito al monitoraggio di questi inquinanti.
L'impianto di trattamento dei fanghi proposto dalla società Ladurner messo in funzione nel 2021 «si è bloccato dopo pochi mesi a causa di un guasto e non è stato più rimesso in funzione nel corsoi di questi anni in quanto già nel breve periodo di funzionamento era emersa la necessità di effettuare diverse modifiche». A luglio dello scorso anno la Ladurner ha presentato richiesta di proroga per completare le opere motivandola con una serie di elementi. Proroga concessa dalla Provincia integrandola con la necessità di prevedere il monitoraggio proprio con la necessità di stabilire costanti analisi sulla concentrazione di Pfas.
Perché ci sono i Pfas al depuratore di Rovereto
Come mai si ordinano controlli Pfas al depuratore? Lo spiegava molto bene, pochi mesi fa, un articolo di Andrea Tomasi sul giornale «il Nuovo Trentino».
« Nella discarica Maza ad Arco i Pfas ci sono, in quantità. La falda acquifera non è compromessa perché - informazioni fornite nei giorni scorsi dai vertici Appa (Agenzia provinciale protezione dell’ambiente) - la barriera idraulica e il sistema di raccolta del percolato funzionano. Il danno è stato contenuto, a differenza di quanto accaduto in Valle del Chiese dove una falda è compromessa e ora monitorata. L’altro caso di inquinamento importante da Pfas si ha nell’area ex Gallox a Rovereto.
Ma torniamo ad Arco dove, nonostante le massicce dosi di camomilla somministrate alla popolazione, si è tutto tranne che tranquilli. Nella Maza infatti - che non è stata oggetto di bonifica (queste sostanze non sono state eliminate, si veda per dettagli il piano rifiuti deliberato dalla giunta provinciale) - i Pfas, dicevamo, ci sono. Sono là almeno dall’aprile 2019, quando venne fatto un rilevamento sul percolato in uscita. Il percolato è il liquido che si forma alla base della discarica a seguito di piogge e con il contatto con acqua di sorgente: è ciò che rimane del trascinamento verso il basso dei rifiuti attraversati dall’acqua. Un rapporto di prova - di cui abbiamo scritto su questo giornale - della primavera 2019 riporta un dato sconcertante: una concentrazione di 7800 nanogrammi/litro di Pfas. Dati certificati e confermati.
I perfluoroalchilici ci sono ancora: non nell’acqua di superficie del rio Salone, che si i trova subito sotto (i Pfas vanno dove va la corrente), non nell’acqua di falda (da quanto risulta), ma nel percolato. Quando il serbatoio della discarica si riempie viene raccolto e trasferito nei mezzi autobotte: camion cisterna che dalla Maza vanno al depuratore di Rovereto.
Tutto a posto? Per niente, perché il depuratore i Pfas non riesce a bloccarli. E dove finiscono? Nello specifico nel fiume Adige. Problema “risolto” con la diluizione. Insomma ce ne laviamo le mani: affidiamo i Pfas alle acque del fiume che farà il suo corso. Cittadini veneti (che già ne avrebbero abbastanza), pesci e ambiente in generale ringraziano. Ricordiamo che quelli di cui parliamo sono contaminanti persistenti. In una terra come il Trentino, dove a livello turistico si promuove l’immagine dell'ambiente incontaminato e si parla di una “efficienza della pubblica amministrazione che gli altri ci invidiano” scarichiamo queste sostanze in acqua conoscendone la pericolosità.
Manca forse una normativa? No. Esiste il regolamento europeo 1021/2019 che vieta il rilascio nell’ambiente delle sostanze organiche persistenti. Non ci sono sanzioni. C’è però un chiaro riferimento al bioaccumulo nella catena alimentare. L’Ue ha anche approvato un protocollo in materia. Vige il principio di non diffusione nell’ambiente di queste sostanze. Lo Stato deve peraltro tenere inventari circa il rilascio delle sostanze.
Nei giorni scorsi il direttore generale dell’Appa ha parlato della bonifica della Maza, non si è detto però che in materia di Pfas non c’è alcuna bonifica. Non si è spiegato che il percolato, che è a tutti gli effetti un rifiuto, viene rilasciato, facendo finire i Pfas nel fiume Adige. Il depuratore non depura.
La domanda è: esiste un modo per bloccare i Pfas? Sì. In Veneto ad esempio si usa il sistema dell’osmosi inversa: c’è una membrana in polimeri che blocca le molecole; funziona come un rene, per cui i Pfas, in acqua, vengono sottoposti a pressione con un pistone, l’acqua passa ma i Pfas no. I nostri Pfas (provenienza ancora sconosciuta) nuotano liberamente nel fiume.