Rovereto

Invalidità revocata e assegno tolto a una ragazzina: in Cassazione arriva il ripristino

Il caso era stato portato davanti al giudice Cuccaro e poi alla Suprema Corte: entrambi hanno dato ragione alla famiglia. L’adolescente è affetta sin da neonata da una rara quanto grave patologia: il sostegno economico però le era stato tolto nel 2021 al termine di una valutazione di verifica. Per i tecnici che l’avevano visitata, la minore aveva “solo” delle difficoltà «persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della sua età» ma non era impossibilitata a farlo

ROVERETO - Una lotta quotidiana contro la malattia che per alcuni anni è diventata anche una battaglia contro la burocrazia. Battaglia vinta in Cassazione dai genitori di una 14enne affetta dalla grave e rara patologia (colpisce un neonato ogni 2 milioni) che l'accompagna fin dai primi giorni di vita. Una patologia che la obbliga ad essere assistita anche per le esigenze quotidiane e che la limita fortemente in quella che è la vita di una bambina prima e di un'adolescente poi. E nel 2019 alla minore era stata riconosciuta l'invalidità con totale e permanente inabilità lavorativa.

Un quadro pesante per lei e per la sua famiglia, ma non così pesante per l'Apss che nel 2021, in fase di revisione delle condizioni per avere accesso all'assegno di accompagnamento - che fino a quel momento aveva ricevuto - aveva riconosciuto delle "difficoltà persistenti" a svolgere compiti e funzioni della sua età. "Difficoltà persistenti" e non "impossibilità": una differenza sostanziale. Perché alla luce di questo accertamento è maturata la decisione della Provincia secondo la quale la patologia della minore non è tale da compromettere tutte le funzioni. La minore si può muovere autonomamente, va a scuola e comunica, per questo secondo il consulente la patologia compromette solo una parte della sua vita.

La conseguenza? La revoca dell'assegno di invalidità e accompagnamento sostituito da quello di "frequenza" che è una prestazione economica finalizzata all'inserimento scolastico e sociale dei minori con disabilità fino al compimento della maggiore età. Il beneficio spetta ai cittadini minori di 18 anni, con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell'età, nonché ai minori ipoacusici, che soddisfano i requisiti sanitari e amministrativi previsti dalla legge. Appunto, "difficoltà persistenti" e non impossibilità. 

Il nodo era questo.La diversa valutazione è stata impugnata dalla famiglia che, appoggiandosi all'avvocato Lorenzo Eccher, aveva portato il caso davanti al giudice del lavoro di Rovereto, Michele Cuccaro. Che - e siamo allo scorso anno - aveva dato ragione alla famiglia nonostante la consulenza tecnica che era in linea con quella della commissione dell'azienda sanitaria. 

«Le patologie di cui è affetta la minore - scriveva il giudice roveretano in sentenza - incidono su aspetti essenziali della sua vita sociale e determinano ripercussioni talmente gravi sulla stessa e su suoi familiari da far ritenere integrate le condizioni per il riconoscimento dell'invalidità civile». 

Un ragionamento che aveva portato all'obbligo per la Provincia di ripristinare l'assegno mensile per invalidi civili e ogni indennità prevista, quindi anche l'assegno di accompagnamento. Nel corso della causa era stata sentita la stessa ragazzina che aveva spiegato come la malattia incidesse in maniera pesante sulla sua quotidianità e sulla sua socialità. Anche quella "minuta", quella di routine che la maggior parte delle persone danno per scontato.

Contro la decisione di Cuccaro l'Azienda sanitaria aveva presentato ricorso sostenendo che nel primo procedimento era stata ritenuta rilevante la mera difficoltà da parte della minore a compiere gli atti quotidiani, laddove occorreva invece l'impossibilità di compiere i questi atti quotidiani. E che la consulenza tecnica cui il giudice si era richiamato era relativa ad un altro procedimento. Per la Cassazione l'appello è infondato in quanto «il giudice - quale peritus peritorum che, in quanto tale, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non ha alcun obbligo di nominare un consulente d'ufficio, potendo ricorrere alle conoscenze specialistiche acquisite direttamente attraverso studi o ricerche personali, e ben può invece, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, disattendere le argomentazioni, in quanto sorrette da motivazioni contraddittorie, o sostituirle con proprie diverse, tratte da personali cognizioni tecniche». 

E ancora «le considerazioni tecniche della consulenza» sono state calate in concreto dalla Corte territoriale nella situazione specifica della bambina, portatrice, nel caso di specie, «non di una mera difficoltà ma di una vera e propria impossibilità di compiere gli atti quotidiani senza assistenza». 

La Corte espressamente dice che le patologie «incidono su aspetti essenziali della vita sociale della persona e determinano ripercussioni talmente gravi sulla stessa e sui suoi familiari da far ritenere integrate le condizioni per il riconoscimento della prestazione richiesta». 

Tale valutazione, «peraltro sindacabile in sede di legittimità solo entro ristretti limiti, è del tutto da condividere, per l'importanza della funzione che veniva in questione». Il ricorso è stato rigettato e la Provincia dovrà quindi ripristinare gli assegni. La Cassazione ha condannato l'azienda sanitaria anche a pagare le spese legali. Ma. D.