Palazzo Albere: una guida al Trentino

Un Palazzo così strategico per la sua storia e dislocazione, così centrale nel flusso dei visitatori del capoluogo dei prossimi anni, non può essere ridotto ad un mausoleo dell'Autonomia, una sorta di tempio autocelebrativo del trentinismo, concepito in chiave pedagogico-paternalista, atto solo a infastidire chi l'autonomia non ce l'ha. L'autonomia si fa conoscere governando beneI tuoi commenti

di Pierangelo Giovanetti

albereIl dibattito attorno al futuro del Palazzo delle Albere non riguarda la sola città di Trento, né esclusivamente il Mart, titolare della collezione di arte trentina dell'Ottocento un tempo ospitata nella villa-fortezza dei Madruzzo. Un'architettura simbolo del millenario principato vescovile (cioè della storia, dell'arte e della cultura del Trentino), a fianco dell'avveniristico e tecnologico Muse, emblema del moderno e della scienza (e richiamo per centinaia di migliaia di visitatori da fuori regione), costringe a pensare per le Albere una destinazione nuova rispetto al passato, «attiva», in dialogo con il museo della Scienza che ha di fronte e aperta con lo stesso spirito del Muse alla conoscenza del territorio. L'incontro la scorsa settimana fra i direttori dei musei segna finalmente un cambio di rotta rispetto al minimalismo delle ipotesi circolate finora.
 
Un Palazzo così strategico per la sua storia e dislocazione, così centrale nel flusso dei visitatori del capoluogo dei prossimi anni, non può essere ridotto ad un mausoleo dell'Autonomia, una sorta di tempio autocelebrativo del trentinismo, concepito in chiave pedagogico-paternalista, atto solo a infastidire chi l'autonomia non ce l'ha. L'autonomia si fa conoscere governando bene. E facendo vedere con i fatti che funziona, senza bisogno di musei-feticcio e monumenti che servono solo ad autoglorificarsi ed autogiustificarsi, in un deprecabile «uso politico» della storia.
 
Non può essere nemmeno lasciato, nonostante l'importanza e la bellezza dell'Ottocento artistico trentino, a ciò che era prima, cioè ad esporre i pur pregevoli Prati, Bezzi e Segantini, conservati dal Museo di arte moderna e contemporanea. Va preso atto che è il Mart che deve valorizzare tali opere, e non può essere mantenuta a Trento per campanilismo una dependance, una sezione distaccata e minore di un museo internazionale che ha il cuore a Rovereto anche se espressione dell'intera comunità regionale. Semmai - e può aiutare il nuovo corso del Mart che in un paio di mesi dovrebbe essere disegnato - deve portare ad accogliere al meglio l' '800 (anche quello trentino) nell'arte moderna coltivata dal museo, favorendo la conoscenza e il godimento anche a livello territoriale di artisti locali (peraltro di dimensione e respiro internazionale), come bene ha fatto, per esempio, in questi anni Cles grazie alle mostre promosse dalla Cassa Rurale.
 
Riduttivo e limitativo è pure pensare di «riempire» le Albere con le fiere del gusto, i mercatini dell'artigianato artistico, il festival della gastronomia locale, degradando il bastione del XVI secolo ad una «casetta di complemento» per i jingles del Mercatino di Natale. Con tutti le strutture vuote, abbandonate e fatiscenti (o di cui non si sa cosa fare) che la città di Trento immeritatamente dispone, è un delitto ipotizzare le Albere come lo spaccio per i ricordini dei visitatori del Muse.
Fabio Chiocchetti, direttore del Museo ladino di Fassa, ha spiegato bene su questo giornale le potenzialità di un dialogo «natura-cultura» e «scienza-arte», affiancando la lettura della montagna come «ambiente naturale» svolta dal Muse ad un focus sul «paesaggio culturale» del territorio alpino, che potrebbero svolgere le Albere.
 
Pur sintonizzandosi su tale linea d'onda e intuendo le opportunità che ciò comporterebbe per l'intero territorio provinciale, la tentazione per i vari musei trentini può essere quella di farne un «museo dei musei», una sorta di vetrina di ciò che si può vedere, visitare e conoscere nelle varie strutture. Una sorta di «guida ai musei trentini» per le folle arrivate in città attratte dai dinosauri e dalla vicina serra tropicale, ma a digiuno delle altre opportunità presenti in regione. Può essere una soluzione, una specie di «sfruttamento industriale» dei turisti approdati a Trento, indirizzandoli dopo la visita al Muse agli altri poli museali in base ai rispetti interessi.
 
Il principio di fondo sembra quello giusto, e anche opportuno in tempi in cui la cultura deve diventare volano di economia, cioè di crescita pure economica del territorio. Ma forse in questa direzione bisogna osare di più. Realizzare non soltanto tanti sportelli-vetrina dei musei di vallata, ma veri e propri itinerari nella storia, nella cultura, nell'arte, facendo conoscere magari per epoche storiche diverse il meglio di quanto si può gustare e conoscere sul territorio.
 
Il Trentino ha un patrimonio paesaggistico-ambientale ma anche storico-culturale unico al mondo, una biodiversità di civiltà e culture intrecciate fra loro in maniera originale e creativa. E ogni epoca storica ha i suoi percorsi, i suoi itinerari, i suoi tesori imperdibili: dalla preistoria all'epoca romana, dal medioevo a Venezia, gli Asburgo, il Concilio fino all'irredentismo, alla Grande guerra, le fortificazioni e i camminamenti. Sala dopo sala, sezione dopo sezione, il visitatore verrebbe ad incuriosirsi (se non proprio ad innamorarsi) dell'infinità e differenziata offerta culturale, artistica (pensiamo solo ai tesori di arte sacra sparsi per le valli), etnografica e architettonica del territorio.
 
Una sorta di completamento del Muse: di qui la diversità e l'evoluzione naturale di questa terra, di là la diversità e l'evoluzione antropologica del Trentino. Entrambi, Muse e Albere, diverrebbero un volano dell'intera attrattiva culturale provinciale. Non soltanto due musei, ma due centri propulsori di tutto ciò che il territorio, sia dal punto di vista naturale che storico, ha espresso. Un obiettivo alto, certamente. Ma non è più tempo - nemmeno per il Trentino - per mediocrità, miopi campanilismi e soluzioni di corto respiro. O ci concepiamo come comunità d'insieme, o siamo destinati a soccombere. In barba alla tronfia retorica di trentinismo di cui ancora troppo spesso ci gonfiamo il petto.

 

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