Insetticida nel rio Valsorda, moria di gamberi nella acque tra Vigolo Vattaro e Mattar
Quelli che popolavano il rio Valsorda sono tutti morti dopo il 10 luglio
Il 10 luglio scorso, quando un improvviso acquazzone ha fatto confluire grosse quantità di insetticida, spruzzato per cacciare le vespe da una struttura ricettiva, nel rio Valsorda non sono morte solo le centinaia di trote riproduttrici del centro ittico di Vigolo Vattaro.
Il veleno è sceso velocemente a valle provocando anche una moria di gamberi di acqua dolce, storicamente presenti in grande quantità negli anfratti e nelle pozze che si formano ai lati del torrente che scende verso Mattarello, dove prende il nome di rio Stolzano, andando a cancellare di fatto i crostacei.
Un danno ulteriore per i pescatori e per l'ambiente. «In passato era pieno di gamberi che arrivavano anche a misurare 15 centimetri» conferma Luigi Pasqualini, appassionato pescatore fin dagli anni Sessanta. Ricorda come nelle buche che si formano accanto al corso d'acqua si potevano trovare anche una cinquantina di gamberi alla volta. E anche dopo la realizzazione della centralina idroelettrica sopra alle Novaline, quando a valle l'acqua iniziava a calare emergevano tra i sassi una miriade di gamberi che facevano la gioia dei ragazzi e delle loro famiglie, che spesso banchettavano con quella specialità. Un tempo la cattura era libera, oggi è limitata a venti unità al giorno di lunghezza superiore ai sette centimetri; la pesca è però vietata dal primo aprile a fine giugno, nel periodo della riproduzione.
Questo tipo di gambero autoctono vive in acque molto limpide e pure e la sua presenza è sintomo di buono stato di salute del torrente. Da questo punto di vista dunque il rio Valsorda sembrava una buona «casa». Ma dopo quel maledetto 10 luglio sembra non ne sia rimasto uno vivo. Pur essendo molto più a valle dell'impianto ittico dove l'insetticida ha fatto strage di trote i sensibili animaletti non hanno resistito neanche a una quantità di veleno ampiamente diluita rispetto alla concentrazione iniziale.
Marco Faes, presidente dell'Associazione pescatori che gestisce il centro ittico, ha percorso tutto il corso d'acqua dopo il fattaccio e non ha trovato neanche un gambero vivo. «So che nell'immediato qualcuno ha provato a prendere quelli che ancora si muovevano e a metterli in acqua pulita, ma sono morti quasi subito» racconta. E non sarà facile, come per le trote marmorate, ripopolare il rio Valsorda. «Non ci sono molte altre acque col gambero nostrano e quelli che c'erano qui sono stati eliminati fino alla foce» spiega Faes. Che a questo punto ha chiesto ai tecnici della Fondazione Mach, incaricati di redarre una perizia per valutare l'ammontare dei danni, di inserire anche l'eliminazione del gambero nella lista delle richieste di risarcimento.
Una lista che già comprende dodici quintali di preziose marmorate rustiche da riproduzione, selezionate geneticamente. Intanto le vasche del centro ittico, svuotate e disinfettate dopo l'avvelenamento, potranno a breve essere nuovamente riempite e ripopolate. Per tornare ad avere trote di qualità come quelle uccise dal veleno però ci vorranno anni.
LA VICENDA
Sono morte «soffocate» le trote della piscicoltura Tamanini di Vigolo Vattaro, dove nel pomeriggio di domenica si è registrato un devastante avvelenamento.
Il danno sull’impianto è ingente: l’allevamento è stato di fatto azzerato e anche nella giornata di ieri i volontari dell’associazione pescatori di Trento hanno lavorato incessantemente per pulire le vasche e salvare il salvabile. Secondo una prima stima il danno ammonterebbe a mezzo milione di euro. «Qui è morto il 98% delle trote marmorate allevate» riferisce un uomo, salvo correggersi poco dopo: «Scriva pure che è tutto da buttare, perché mano a mano che passano le ore il numero dei pesci rinvenuti sul pelo dell’acqua aumenta costantemente».
Il presidente Marco Faes allarga le braccia e ci porta a vedere i due grandi container dove è stato gettato il prodotto da eliminare. Da una parte 7,5 quintali di «riproduttori» di 7-8 anni di età, nell’altro 4-5 quintali di «novelle» di un paio d’anni.
«Ora dovremo cominciare tutto da capo. Il lavoro di tanti anni è andato distrutto in poche ore» riferisce Faes. Le trote, accuratamente selezionate, dovevano essere introdotte nelle acque dell’Adige e dell’Avisio. «Dobbiamo ringraziare le associazioni di Rovereto, Cavalese e del Vanoi, che appena appresa la notizia hanno assicurato il rifornimento di produttori dai loro impianti» osserva il presidente dell’associazione.
Sul posto, gli uomini dell’Agenzia per l’ambiente della Provincia hanno prelevato alcuni campioni d’acqua. Alcune trote sono state inviate al centro zooprofilattico di Padova, dove saranno condotte le analisi del caso. Secondo i primi accertamenti ? anche da parte del nucleo operativo ambientale dei carabinieri che sta conducendo indagini ad ampio raggio ? la sostanza che ha ucciso la fauna ittica sarebbe stata sversata circa 300 metri a monte dell’impianto, all’altezza di un ponte sul quale si affaccia un agriturismo e da cui escono alcune condotte d’acqua. «Gli elementi che abbiamo in mano finora non ci consentono di fare delle ipotesi né sulla provenienza della sostanza tossica che ha ucciso i pesci, né sulla natura della sostanza stessa» commenta il presidente dell’associazione pescatori di Trento.
Certo è che quello che per i pesci si è rivelato un veleno mortale, non ha affatto alterato il ph (ossia l’acidità) dell’acqua del rio Valsorda, sul quale è stata realizzata l’opera di presa che alimenta l’impianto. «Appena mi sono accorto di quanto stava accadendo, ho attivato l’ossigenazione dell’acqua, per facilitare il lavaggio delle branchie» è il racconto di Claudio Ravagni, responsabile dell’impianto.
Molte delle trote uccise dal veleno «killer» presentano le branchie sollevate.
L’interno è di un colore rosso molto tenue: «L’effetto del veleno si vede a occhio nudo, mentre il fegato e i reni non presentano emorragie e la vescica non ha alcuna perforazione. Il colore esterno delle trote marmorate risulta invece alterato, con striature molto chiare sulla superficie» è l’esito dell’«autopsia» effettuata sul posto dagli esperti. [Andrea Bergamo]