Alan Vitti, writer di professione partendo dall'hip hop - Foto

Alan Vitti, nome d’arte Senka Semak, dei graffiti ha fatto il lavoro della sua vita. Classe 1981, trentino, da un paio di anni a questa parte fa il writer di professione.

Come ha iniziato?

Mi sono approcciato ai graffiti nel 1998, ci sono arrivato partendo dalla musica hip hop che è legata a stretto giro con l’arte dei graffiti. Ho sempre avuto la passione per il disegno e l’arte, facevo soprattutto illustrazioni e fumetti. Da adolescente, alla ricerca della mia identità, mi sono avvicinato alla cultura hip hop e l’aspetto dei graffiti in particolare mi ha colpito proprio perché a me piaceva l’arte.



Provi a darci una chiave di lettura per profani del graffitismo.

Anzitutto non è un tutto un blocco unico, come altre forme artistiche ci sono correnti, stili e gusti personali. Dietro al writing c’è uno schema geometrico comune, di base, che sono le lettere e la calligrafia, da lì si parte per poi sviluppare la propria ricerca in aspetti che possono essere più spiccatamente calligrafici o virare verso l’illustrazione, per esempio. Io non mando messaggi politici e non facci particolari riferimenti alla realtà in questo momento, sono più vicino all’astrattismo: uso curve e linee che vengono dalle lettere della mia firma per fare opere che a livello emozionale e visivo creino un bell’impatto visivo il mio studio è quasi tutto sulla tridimensionalità delle forme.

I graffiti cittadini "autorizzati"



La street art, come la cultura hip hop, è nata nelle periferie degradate dalla rabbia di determinati ceti sociali, cosa può portare a quest’arte un giovane nato fuori da questo background?

Credo che già negli anni in cui ho iniziato io c’era una prima generazione di writer in Italia che operava da un decennio fuori da questo background, e i graffiti pur essendo nati nelle perieferie newyorkesi più difficili partendo da certi presupposti abbiano preso abbastanza presto una connotazione anche puramente artistica. Rispetto alle origini ha avuto anche uno sviluppo su altri fronti rispetto all’espressione di sé delle periferie americane, io mi sono avvicinato soprattutto per l’aspetto artistico piuttosto che la ribellione o la denuncia che il graffitismo delle origini porta con sé. Non è da sottovalutare comunque il fascino della ribellione sociale su un adolescente che si avvicina alla street art, è indubbiamente un elemento iconico.



Tu ne hai fatto una professione, cosa consiglieresti a un adolescente agli inizi?

Di scappare da qua velocemente! Scherzo... diciamo che se ci si avvicina seriamente pensando di uscire dall’hobby o dall’amatorialità credo che in questo momento ci siano degli sbocchi se si è capaci di integrare anche forme espressive diverse dal puro graffito su muro. Io porto la street art anche nelle decorazioni ad esempio, che sono più comprensibili ad un pubblico che ancora poco conosce quest’are. Bisogna anche capire che non si tratta solo di fare graffiti tutto il giorno: oggi serve promuoversi, muoversi, essere organizzati e avere quindi anche una capacità imprenditoriale.

I graffiti per le strade di Trento



Trento cosa offre ai writers?

Trento ha fatto dei passi avanti ma è ancora molto bloccata rispetto ad altre realtà, in particolare se si aspira ad un percorso artistico importante o a farne un lavoro. Dal punto di vista burocratico e di costi, per esempio non c’è un vero inquadramento, si viene assimilati ad un’impresa edile ed evidentemente sono due cose completamente diverse. È complicato capire cosa si può fare, anche per operare per esempio per un privato. Si sono aperte delle possibilità anche qui, come i muri liberi e degli spazi su cui confrontarsi, ma la qualità che lì cresce può essere migliorata nel momento in cui questi ragazzi hanno la possibilità reale di uno sbocco anche lavorativo. Oggi a Trento realizzare dei lavori su commissione privata è molto difficile e questo è un ostacolo allo sviluppo della street art. 

(3 - continua)

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