«La circonvallazione ferroviaria, un progetto che stravolgerà la città»
Parla Clara Lunardelli, che abita nel maso sotto il quale passerà la galleria prevista sotto la Marzola dal progetto dell'altà velocità
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TRENTO. «L'altro giorno mi sono accorta di non ricordare com'era la vita due anni fa. Non riuscivo a rintracciare lo stato d'animo col quale stavo al mondo, il clima sociale, fatto dell'umore anche degli altri».
Clara Lunardelli è sul poggiolo del maso dove lei è cresciuta e che la sua famiglia possiede da prima della Seconda guerra, al limitare del bosco in cima alla salita ai Grezzi.
Sotto, il mosaico colorato dei vigneti e delle campagne che saranno incisi dalla circonvallazione ferroviaria e dalla galleria "Trento".
Impegnata nel mondo della disabilità e pittrice, Clara riflette sull'opera che segnerà quel paesaggio, fisico e dell'anima, «che è vita e che perderemo a breve».
Conosce i Bertoldi, i Bresciani, i Barchetti, i Ganthaler, i Brugna e le loro storie, e indica le loro case, ma il suo sguardo si alza e guarda verso Trento.
La pandemia rende più cupa l'analisi, premette, ed esplicitamente dichiara di essere a favore dell'opzione zero: «Questo progetto vagheggiato da anni e che con il Pnrr si rende possibile, è un'ulteriore preoccupazione che si inserisce in un clima dalla tonalità emotiva scura, fatto di sfiducia negli strumenti democratici e di risposte chiaroscurali alla pandemia».
L'opera «che assorbirà risorse economiche esorbitanti è piena di incognite, stravolgerà ambiente e città per anni.
I cittadini la percepiscono come qualcosa che incombe».
È un senso di sconfitta «che abita ormai nell'intimità delle persone», ma su questo sentimento «non si può scherzare», perché è in gioco la sopravvivenza del pianeta e dell'intera specie: «Solo con colpevole leggerezza si perseguono pratiche di governo in sfregio all'organismo vivente che è il pianeta.
Continuano in questi giorni i moniti sullo sbandamento climatico.
Ma ci sono scienziati le cui indicazioni tutti dobbiamo seguire (Covid-19 docet) e scienziati che vengono invece ignorati da decenni».
La circonvallazione è una risposta sbagliata ad una domanda di ri-generazione umana-ambientale: «E potrebbe agire come una cura d'urto su un corpo appeso a un filo. Arriva poi in un momento in cui siamo attaccati e provati da un virus e dalle politiche attuate per combatterlo».
Per Clara il dialogo con i decisori politici è sterile e sul loro operato il giudizio è tranciante: «La finta disponibilità, l'atteggiamento coscienzioso ed empatico mostrato dagli amministratori e dagli attori del progetto è risultato indigesto a molti. Qui non si tratta di pagare eventuali scelte sbagliate, ma di evitare di compierle».
Ma quale consorzio umano vogliamo lasciare? «Trento è testimone di progetti irrisolti, sperpero di risorse ambientali ed economiche, che restano come ferite irreparabili rispetto all'integrità di un territorio fin troppo abusato. Il capoluogo è una sequenza di edifici privi di vita vera: non ci sono famiglie, non ci sono né bambini né vecchi, e allora questa nostra città dovrebbe fermarsi e chiedersi cosa vuole diventare ancora».
E sulla sbandierata qualità della vita di cui Trento può fregiarsi la conclusione di Clara Lunardelli è amaramente sarcastica: «La gente vive nelle periferie e fa chilometri ogni giorno per venire in città a lavorare. Con quest'opera potremo dire: Trento, la città "morta" che aveva uno scalo merci nel suo cuore. La città ambiziosa, costretta dalle montagne, che non si accontentava della bellezza verticale da cui era circondata e protetta ma che l'ha voluta possedere e dissanguare».
Un giudizio che sicuramente fa riflettere.