Viaggio nell’acquedotto di Trento, dove si rincorre il rumore delle perdite contro gli sprechi
La struttura gestita da Novareti vanta il 15% di perdite. L’ing. Matteo Frisinghelli: «Già quindici anni fa avevamo visto il trend in calo, da allora ci stiamo preparando»
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TRENTO. Al serbatoio Diecimila di Trento nord entrano 125 litri al secondo e ne escono 213. È mezzogiorno e la città si sta facendo da mangiare, serve acqua. Tanta. Lo misurano i sensori, lo si vede anche ad occhio nudo: nei due serbatoi - ciascuno da cinquemila metri cubi - le pareti bagnate mostrano con chiarezza che il livello si è abbassato di almeno 50 centimetri nell'ultima ora. L'ora di pranzo, in una città da 120 mila abitanti, causa uno dei picchi dei consumi. Gestirli, questi picchi, è compito di Novareti.
Novareti è la società satellite del gruppo Dolomiti Energia Holding, che segue gli acquedotti di Trento, Rovereto, Ala, Aldeno, Calliano, Mori, Nomi e Volano: in tutto 1.300 km di tubi, come da qui a Copenaghen, se li mettessimo in fila. Solo l'acquedotto di Trento conta 800 chilometri di tubi. Siamo andati a vedere come funziona. Perché abbiamo sempre considerato l'acqua come un bene infinito e adesso si è trasformata all'improvviso in un bene scarso. Come la gestiamo, non è secondario. Ma in Novareti evidentemente lo sanno da tempo.
Perché negli anni sono riusciti a ridurre i consumi e le perdite in modo significativo. Bastino due dati su tutti: nel 2006 nei tubi di Trento passavano, in media, 240 litri d'acqua al secondo, ora nel passano 120. Nel 2006 si consumavano 50 mila metri cubi d'acqua, oggi siamo scesi a 39 mila. Ma non è stato gratis: per avere questi risultati serve investire. Novareti lo ha fatto: 38 milioni di euro in 5 anni. Soldi spesi su due fronti: tecnologia e infrastrutture.
«Perché nel 2006 abbiamo guardato l'andamento delle sorgenti - spiega l'ingegner Matteo Frisinghelli, dirigente responsabile operativo del sistema idrico - Il grafico era discontinuo, è vero. Ma il trend, pur lentamente, portava chiaramente ad un calo. Noi ci stiamo preparando da 15 anni». Per questo, mentre in Veneto il governatore Luca Zaia firma un'ordinanza contro lo spreco e ragiona di possibili razionamenti, Trento (e Rovereto) non rischiano di vedersi ridurre il servizio, nemmeno nell'anno più secco di sempre. Perché qui sono capaci di correre dietro alle perdite. Ascoltando il rumore che fanno.
Serbatoi, tubi, valvole. Noi apriamo il rubinetto ed esce l'acqua. Semplice, scontato. Ma dietro a quel rubinetto c'è un sistema complesso, fatto non solo da tubi, ma anche da serbatoi e valvole. In città, sono 55. Perché l'acqua che serve a mezzogiorno non è quella che usiamo alle 3 di notte. Quindi i serbatoi sono strategici per custodire l'acqua per i momenti di maggior richiesta. Il principale serbatoio della città è il Diecimila di Meano, appunto.
Lì arriva l'acqua di Campo Pozze, in tubi da 50 centimetri di diametro, regolati da valvole azionate in modo elettronico e sotto l'«occhio» vigile dei sensori. Le valvole azionate a mano ci sono. Belle, blu, tinte di fresco - tutto il serbatoio è stato ristrutturato l'anno scorso, ora si lavora all'impianto fotovoltaico - ma si usano sostanzialmente quando si svuota uno dei serbatoi, per la manutenzione. Normalmente lassù non c'è anima viva: tutto procede controllato da remoto. L'acqua arriva, va in un vascone di decantazione, poi in un altro, infine nel serbatoio. Ed è blu come non si aspetti, nemmeno in piscina. «La salubrità è controllata ovviamente da analisi continue». La sfida è portare quell'oro blu da lì ad ogni casa disperdendone il meno possibile.
Telecontrollo e intelligenza artificiale. La sala di controllo, in via Fersina, non ospita più di una decina di persone tutte insieme. Anche perché ognuna è in grado di avere sotto controllo l'intera rete: gli schermi dei pc sembrano un videogioco, in realtà, indicano per ogni serbatoio, il livello e la pressione in entrata e uscita, per ogni pompa se è azionata o meno, per ogni nodo se è tutto regolare o se ci sono possibili perdite.
«Per controllare un sistema che è pressoché interamente sotto terra, abbiamo iniziato 15 anni fa a creare un modello digitale della rete - spiega Frisinghelli - e abbiamo posizionato sensori su ogni serbatoio e in ogni punto strategico della rete. È grazie a questo che noi interveniamo, spesso, sui guasti, prima che i cittadini si accorgano che ci sono stati». Per ridurre al minimo i guasti, invece, si è fatta una cosa semplice a dirsi, un po' meno a farsi: si è ridotta la pressione dell'acqua nella rete.
«Un tempo c'era ovunque la pressione necessaria per arrivare al decimo piano. Questo causa l'usura più veloce in tubi a volte vetusti e non ha senso - spiega Frisinghelli - Abbiamo quindi diviso l'acquedotto in zone, e per ogni zona riusciamo a garantire la pressione necessaria, ma non oltre quella. E lo abbiamo fatto attraverso modelli matematici che abbiamo generato qui in azienda, con il nostro personale». Questa è stata la chiave di volta, assieme ad una ricerca costante delle perdite. Con l'orecchio elettronico.
La ricerca delle perdite. «Nel 2006 avevamo nei nostri tubi 240 litri al secondo, adesso sono 120. Quel che manca, sono perdite che abbiamo risolto». È orgoglioso dei risultati, Frisinghelli. E li spiega con l'ingegner Chiara Costiella, responsabile della ricerca perdite, che continua a ripetere che comunque «io da sola non faccio niente, siamo una squadra che lavora tutta assieme». Le perdite, comunque, sono l'incubo di ogni acquedotto: ce ne sono di tre tipi, quelle di sottofondo, che dipendono dall'età dei tubi, non ci si può far nulla - per dare un'immagine tutto tranne che scientifica, è come se traspirassero - poi ci sono le rotture, che si vedono subito, perché si spacca un tubo, c'è un allagamento.
«Qui perdiamo paradossalmente poca acqua perché interveniamo immediatamente». Il problema sono le cosiddette perdite occulte. Il buchetto - sempre per essere poco scientifici ma comprensibili - che fa scappar via l'acqua. Sono quelle la sfida vera. «Agiamo in tre modi. Intanto, facciamo un bilancio idrico di zona, e guardiamo quanta acqua si consuma di notte. Perché lì i consumi reali sono al minimo, quindi se c'è un consumo alto, significa che arriva da una perdita. Allora interveniamo con l'orecchio elettronico». Sono sensori che captano le onde sonore. Perché le perdite fanno rumore. Se due sensori captano la medesima onda, significa che in mezzo a loro c'è il problema.
Attraverso modelli matematici, si riesce a capire quanto distante da quale dei due sensori. E solo allora interviene l'uomo: «Noi diciamo che mandiamo le squadre a bersaglio - spiega Frisinghelli - perché quando vanno, sappiamo già che dove si è verificato il problema. E possiamo intervenire senza scavare decine di metri». Infine, anzi in parallelo, ci sono i noise logger: altri sensori che segnalano la possibilità di perdite, sempre "ascoltandole".
«Grazie a queste strategie e alla gestione della rete, siamo al 15% di perdite, ma pensiamo di poter arrivare sotto il 10%, che sono medie da Israele». Per questo la siccità preoccupa, ma non fa paura: «Nel 2022 non abbiamo avuto problemi - conclude Frisinghelli - Quest'anno sarà più difficile? Forse, ma siamo preparati».