Fidenza, bonificata un'area come la Sloi e ora lo stanno facendo con una fabbrica Carbochimica . Ma è costato 30 milioni
Parla «l’uomo delle bonifiche», Zanettini: «Le tecnologia per il piombo ci sono. Ma da voi è più complesso, ci sono problemi idrogeologici più gravi»
TRENTO. C'è un'area dove veniva prodotto il piombo tetraetile, un'altra di fronte che faceva idrocarburi. Da tempo la produzione si è fermata lasciando la brutta eredità di terreni intrisi di sostanze inquinanti e pericolose. Nel 2002 i terreni inquinati sono stati inseriti nell'elenco dei SIN, i siti di interesse nazionale da bonificare. Sembra la fotografia esclusiva di Trento Nord e invece è la descrizione anche delle ex aree industriali di Fidenza, in provincia di Parma.
La differenza sostanziale è che mentre su ex Sloi ed ex Carbochimica in questi primi giorni del 2024 si sta discutendo se sia percorribile la strada dell'esproprio, per poi studiare ilo modo di bonificare, a Fidenza la bonifica è già in gran parte cosa fatta. Ed è stupefacente sapere che la parte già conclusa è quella che riguarda l'inquinamento da piombo tetraetile, che qui a Trento è sempre stato considerato l'osso duro, l'impresa più complicata e pericolosa.
La Sloi di Fidenza si chiamava Cip, Compagnia Italiana Petroli, e proprio come la gemella trentina era tristemente nota come la "fabbrica della morte". Produceva acido fosforico, fertilizzanti e piombo tetraetile utilizzato come detonante per i carburanti. Fu chiusa nel 1973 quando ci si accorse che era troppo pericolosa per chi vi lavorava e chi viveva attorno; la produzione di piombo causava problemi di tipo neurologico e per di più si erano verificate esplosioni e incidenti.
A Trento per chiudere si dovette aspettare il 1978 e la sollevazione popolare seguita al disastroso incendio che fece sfiorare il disastro. Pochi metri più in là, a Fidenza come a Trento, sorgeva invece la Carbochimica, la stessa società nata nel 1972 dalla fusione del settore carbochimico di Italgas con la Prada Chimica spa. La sede di Trento è chiusa dall'inizio degli anni Ottanta mentre quella di Fidenza, passata in mani belghe per un decennio, ha proseguito poi con la vecchia ragione sociale fino alla liquidazione, arrivata nei primi anni del nuovo millennio.
Ma la differenza sostanziale fra Trento e Fidenza sta nell'approccio da parte dell'amministrazione pubblica. Qui fin dagli anni Novanta, quando era apparsa chiara l'entità dell'inquinamento, si è cercata la strada dell'accordo con la proprietà, solleticata con generosi piani urbanistici ad intervenire. Volumi da costruire e rivendere in cambio di bonifica. Ma le incertezze su modalità e costi del disinquinamento hanno finito per frenare i privati che non hanno mai fatto niente di più di ciò cui erano obbligati, cioè una barriera idraulica per impedire la diffusione dell'inquinamento in falda. A Fidenza invece si è percorsa la strada della regia pubblica. I 36.000 metri quadri dell'ex Cip sono stati acquistati nel 2001 dalla curatela fallimentare per un prezzo simbolico.
Poi il Comune con i fondi della Regione e del ministero ha iniziato le procedure di bonifica e la messa in sicurezza di emergenza con la rimozione delle vasche contaminate. Ci sono voluti oltre vent'anni per mettere a punto gli interventi, ottenere i permessi e procedere ma alla fine sono state asportate 5.500 tonnellate di terreno contaminato solo da piombo tetraetile e altre 4.000 tonnellate anche da naftalene; tutto smaltito in inceneritori speciali in Francia e Germania.
Altre 30.000 tonnellate sono state trattate in biopile, una tecnica di depurazione che consiste nel deposito del terreno contaminato in speciali vasche e l'utilizzo di adeguati batteri che si nutrono delle sostanze inquinanti ripulendo il terreno. Poi quel terreno, raggiunti parametri compatibili con il riutilizzo dell'area per scopi produttivi, è stato rimesso al suo posto.
Ora su una parte dell'ex Cip è già stato realizzato un impianto di cogenerazione mentre sulla parte rimanente si sta facendo l'analisi di rischio per la successiva realizzazione di insediamenti industriali per i quali, grazie anche alla vicinanza strategica con la ferrovia, che separa ex Cip ed ex Carbochimica dal centro città, c'è già una grande richiesta.
L'area Carbochimica di Fidenza è stata acquisita dal Comune nel 2005, un anno dopo il fallimento, e dando la precedenza all'altro sito la progettazione dell'intervento di bonifica è andata più a rilento. In compenso, prendendo spunto dall'esperienza accumulata all'ex Cip, sono state ipotizzate soluzioni diverse, in particolare meno materiale asportato e una maggiore lavorazione dei terreni in loco. Il progetto definitivo è stato approvato e finanziato. In questo comparto oltre a siti produttivi si prevede la realizzazione di nuovi collegamenti stradali, ciclabili e pedonali per ricucire l'area con il resto della città.
In tutto la sola bonifica dei due siti costerà almeno una trentina di milioni, parte dei quali rientreranno con la vendita dei terreni alle aziende interessate a insediarsi in quella zona. Ma il vantaggio ambientale e urbanistico è tale da giustificare ampiamente la spesa pubblica.
L’uomo delle bonifiche: «Ma da voi è un problema diverso»
Lui si schermisce parlando di lavoro di squadra ma l'uomo delle bonifiche a Fidenza risponde al nome di Nicolai Zanettini. Fu il suo studio di architettura di Parma nel 2002 a vincere la gara per la progettazione della bonifica dell'ex Cip. Oggi, 22 anni dopo, l'architetto è ufficialmente in pensione ma segue ancora da libero professionista le bonifiche che proseguiranno sull'ex Carbochimica.
Architetto, Trento Nord e Fidenza sembrano siti gemelli ma le storie hanno preso direzioni decisamente diverse. Come avete fatto lì in Emilia a realizzare una bonifica che qui sembrava impossibile?
Non conosco le dinamiche di Trento ma qui il Comune di Fidenza è stato lungimirante. Ha capito subito l'importanza dell'opportunità offerta dal decreto Ronchi e dal 468 del 2001, che inseriva ex Cip ed ex Carbochimica, allora private, nei Siti di interesse nazionale, infilando nel Sin anche alcune aree di proprietà pubblica, come il vecchio inceneritore già chiuso e alcune altre aree golenali contaminate da rifiuti. Furono stanziati 4 milioni per la bonifica della parte pubblica. Poi ai curatori fallimentari delle due fabbriche disse: "se avete i soldi per bonificare e vendere fatelo, altrimenti siamo disponibili ad acquistarle". E così li acquisirono per un prezzo simbolico, 1 o 2 euro al metro.
Poi via con la bonifica, partendo proprio dal piombo tetraetile dell'ex Cip?
Il Comune potè iniziare la caratterizzazione dei terreni ex Cip, la Carbochimica verrà acquisita solo qualche anno dopo. Prima si partì con lo svuotamento dei 4 serbatoi del piombo tetraetile, poi c'erano una settantina di altri serbatoi e vasche con altre sostanze chimiche, che perdevano. Così i primi finanziamenti ministeriali vennero usati per la messa in sicurezza delle situazioni più a rischio per l'ambiente e soprattutto per la falda, oltre che per la caratterizzazione. Poi fu costruita anche una barriera idraulica per evitare il rilascio di materiale all'esterno.
Ma come avete fatto col piombo? Qui è sempre stata considerata un'impresa pericolosa e quasi impossibile da portare a termine.
I terreni dovevano essere smaltiti perché non era possibile fare altro, non potevano essere recuperati. Il piombo tetraetile è stato portato a un impianto di incenerimento, perlopiù in Francia.
Quindi semplicemente escavatore e via?
Beh ovviamente con tutte le cautele del caso. Abbiamo dovuto fare all'esterno tre impianti confinati dinamici, con il personale che entrava dentro coi respiratori, una cosa complessa. Il piombo veniva caricato in bidoni chiusi e poi portato agli inceneritori per rifiuti pericolosi, prevalentemente in Francia e Germania, All'inizio c'era un impianto anche a Torino ma poi ha smesso di funzionare.
E poi? Sono stati rimessi terreni puliti?
In parte sì, ma poi sono stati ripulite anche 30.000 tonnellate di terreno perlopiù contaminato da naftalene. In questo caso sono stati portati e trattati in biopile. Avevamo verificato assieme all'Università che ci sono microrganismi che si mangiano le molecole degli idrocarburi. Abbiamo realizzato 7-8 di queste biopile trattando i terreni con ammendanti per la proliferazione di questi microrganismi che hanno lavorato per noi, ridotto le concentrazioni fino al punto da considerarle non più a rischio. Poi abbiamo rimesso questi terreni nel sito.
Ed è andato sempre tutto liscio?
No è stato un lavoraccio. Siamo scesi fino a 10 metri di profondità e spesso lo scavo si riempiva d'acqua. Abbiamo avuto diversi problemi tecnologici. Ci sono voluti molti anni, troppi. L'iter amministrativo e procedurale è stato molto complesso: il coinvolgimento di tutti gli enti, i permessi. Ma ce l'abbiamo fatta e ora all'ex Cip abbiamo praticamente finito. Manca l'analisi di rischio che serve a dimostrare che non c'è più rischio per le persone e per le falde; perché in realtà non siamo riusciti ad arrivare a ripulire tutto nei punti più profondi, ma si tratta di situazioni marginali che non impediranno il reimpiego dell'area. Che è già in parte utilizzata.
Ora tocca all'ex Carbochimica?
Si, noi l'abbiamo ereditata che era ancora in funzione e per circa un anno abbiamo dovuto gestirla. Poi è stato fatto un progetto di smantellamento e bonifica con smaltimento dei rifiuti presenti nelle cisterne, una settantina fuori terra e oltre cento sottoterra. Questo è stato fatto. Ora faremo il consolidamento della barriera idraulica esterna per mettere in sicurezza l'area rispetto al rischio di migrazione dei prodotti. Intanto è stato approvato dal ministero un progetto di bonifica. Noi avevamo stimato un costo di 16 milioni di euro ma i prezzi sono sicuramente lievitati.
Le tecnologie saranno le stesse dell'ex Cip?
I terreni contaminati da naftalene, a causa della rimozione delle cisterne, andranno in biopila. Abbiamo visto che è un impianto facile da gestire e che consente di recuperare i terreni. Ci vogliono un paio di mesi dove le concentrazioni di inquinanti sono basse, in altri casi fino a otto mesi.
Ma l'esperienza ci dice che gli scavi di 3 o quattro metri sono gestibili, quelli superiori sono complicati. Abbiamo perciò adottato un sistema, che in fase di cantiere pilota ci ha dato buoni riscontri. Contiamo di realizzare dei pozzetti, uno che estrae i gas volatili prodotti in profondità che vengono poi trattati e rilasciati in atmosfera; poi altri pozzetti consentono l'iniezione di ossigeno per aiutare con delle miscele i microrganismi autoctoni a fare il loro lavoro di degradare le molecole inquinanti.
Quanto ci vorrà?
Ci vorranno credo dai tre ai cinque anni. Salvo sorprese, che sono sempre all'ordine del giorno.
Poi si può dire che la ferita sarà ricucita.
Certo, e sono aree vicino al centro, molto interessanti. Il Comune ha realizzato un planivolumetrico nel 2008 e firmato un piano di programma con il ministero e gli enti interessati che prevede finanziamenti anche per la fase di recupero post bonifica. E l'interesse dei privati è già alto.
Il costo complessivo per il pubblico sarà a quanto ammonterà alla fine?
Una trentina di milioni.
Quindi l'ex Cip con il piombo tetraetile è costata meno della Carbochimica?
Assolutamente sì. E il ritorno dalla vendita dei terreni coprirà le spese?Intanto abbiamo già due aree completamente bonificate. Sulla golena del fiume che attraversa Fidenza c'è un parco pubblico, quindi sono stati soldi sicuramente spesi bene, dove sorgeva il vecchio inceneritore, luogo di interesse naturalistico. Mentre per ex Cip ed ex Carbochimica c'è l'interesse di alcune grosse aziende. Non so se l'amministrazione comunale ci guadagnerà ma il bilancio ambientale è sicuramente ottimo.
In tutti questi anni ci sono mai stati scambi di informazioni con Trento?
Si, ho incontrato in passato l'architetto Alverio Camin che si occupava dei progetti di bonifica. Ma poi abbiamo preso strade diverse. Lui puntava molto al coinvolgimento dell'università, che ha tempi lunghi e interessi differenti. E poi penso che i problemi idrogeologici da voi siano maggiori, credo che sia una situazione ancor più complessa.