La riflessione di Roberto Pinter: «Ristorazione in Trentino, ancora tanta strada da fare»
L’ex consigliere provinciale si dichiara appassionato di gastronomia, e lancia una provocazione: «Alto Adige top, Lombardia e Veneto ci sovrastano: qui da noi tanti locali chiudono e non ci si chiede il perché»
ROVERETO. Roberto Pinter, ex consigliere provinciale ed ex assessore, si dichiara un appassionato: «Vado spesso a mangiare fuori, e se c’è un posto che vale la pena provare, io ci vado. Ma devo dire che ultimamente la qualità dell’offerta in Trentino è diventata un problema».
Pinter, che incontriamo nel centro storico di Rovereto, parte dall’allarmante numero di chiusure: «Ogni giorno in Trentino, nel mondo della ristorazione, chiudono locali e se ne aprono di nuovi. Certo la legnata del Covid si fa ancora sentire, aumentano i costi, si fatica a trovare personale e la capacità di spesa è ridotta dall'inflazione e dalla mancanza di miglioramento delle retribuzioni, ma è come se l'offerta non riuscisse a sintonizzarsi con la domanda. I locali di buona qualità in realtà non chiudono se non per scelte di vita dei ristoratori, mentre sono in difficoltà quelli che si ostinano a cercare proposte che guardano più all'immagine che alla sostanza.
Non basta infatti puntare sull'arredamento, sulla grafica usata per i social, sulla miscela ormai scontata che unisce un po' di prodotti del territorio, qualche kilometro zero, qualche presidio Slow Food, una discreta cantina e qualche innovazione pescata dai locali stellati o da Master Chef , per offrire una buona tavola. Magari nelle grandi città o in quelle turistiche può funzionare come attrazione per clienti occasionali, ma nessuno torna in un locale se non trova una buona proposta».
Sì, ma qual è la “ricetta”, secondo lui? «La bontà della proposta gira e rigira sta nella buona cucina, nel buon rapporto tra qualità e prezzo e nel buon servizio offerto. Solo che se si investe di più nell'arredo e nella promozione che in un buon chef e in personale con il sorriso e la competenza non si va tanto lontani»
Poi Pinter fa il suo elenco: «Un buono chef è il primo ingrediente di una buona cucina, ma a quanto pare non si investe abbastanza per averlo e anche per farlo crescere, cosa che richiede sia un po' di coraggio che la capacità di misurarsi con la clientela. Troppi infatti sono gli chef che se la raccontano e non escono dalle cucine per vedere se quello che propongono incontra il gusto e il piacere dei clienti. E troppi locali elaborano dei menù ricorrendo alla fantasiosa accumulazione di ingredienti invece che ricercare e offrire dei piatti che, pur innovando, sappiano proporre il piacere del mangiare che richiede anche semplicità e buon gusto. Non basta un elenco di prodotti che vanno per la maggiore e molte volte accostati senza capo e senza coda, ci vuole personalità e un locale deve trovare la propria identità».
Non basta: «Il sorriso di chi ti accoglie e ti serve è il secondo ingrediente. Dicono che non c'è personale, in parte è vero perché pochi sono disposti all'impegno richiesto nella ristorazione, ma è altrettanto vero che non si trova se non si offre stabilità e giusto riconoscimento economico, penso che anche il sorriso dipenda dal fatto che il personale si senta apprezzato».
E il conto? «Il terzo ingrediente è il giusto rapporto qualità-prezzo, perché non tutti possono rincorrere la stella Michelin ne' alla fine è quella che decide il successo di un locale. Conta di più il passa parola e nel passa parola conta anche il buon prezzo, certo rapportato al tipo di proposta che si vuole fare e al tipo di clientela che si vuole raggiungere.
Potrei portare un sacco di esempi di prezzi fuori scala, di proposte proibitive che scoraggiano le degustazioni. E certamente non è una grande idea, anzi la trovo disdicevole e antipatica, quella che ho visto pochi giorni fa sul sito di un nuovo locale che volevo andare a provare: “la consumazione minima richiesta è di 35 euro per persona seduta al tavolo”. A parte il fatto che non si capisce in cosa consisterebbe la sanzione per un consumo inferiore, di certo si scoraggia chi vorrebbe unirsi alla compagnia e per buone ragioni quella sera non può consumare quanto richiesto».
Per Pinter «Non voglio sostituirmi ai professionisti che ne sanno più di me, ma da discreto cliente mi permetto di far presente che oltre a concentrarsi sulla offerta bisognerebbe concentrarsi anche sulla domanda, altrimenti si finisce per covare il risentimento (cito una recente esternazione di un esercente che ha chiuso il proprio locale lamentandosi della mancata solidarietà (che immagino consista nella quantità di consumo) dei suoi clienti?!» Nessuno ti obbliga ad aprire un locale e se lo fai dovresti avere la giusta professionalità e la capacità di affrontare qualche rischio, non certo finire per incolpare i mancati clienti».
Un'ulteriore considerazione: «Raffrontando la proposta enogastronomica trentina con quella del Sudtirolo, del Veneto e della Lombardia trovo tre limiti:
- l'accoglienza in Trentino non è sempre all'altezza;
- i prezzi non sono competitivi, salvo la provincia di Bolzano dove però la qualità media è rassicurante e anche la percentuale di locali di qualità lo conferma;
- la proposta del territorio lascia un po' a desiderare, non solo per la scarsa capacità di promozione dei prodotti del territorio, anche quando sono di qualità, ma anche perché sembra che la proposta del territorio sia un appendice, una sorta di obbligo, piuttosto che l'identità della proposta. Naturalmente ci sono locali che si fanno in quattro e offrono buoni piatti a prezzi ragionevoli e ci sono ristoratori con proposte di qualità e personale accogliente e competente, ma bisognerebbe che l'insieme della ristorazione trentina, per assicurarsi un futuro, elevasse l'asticella».