Violenza / Giovani

Don Daniele Laghi: «I ragazzi violenti fanno paura, ma non vanno lasciati soli»

Il parroco di Brentonico e gli ultimi episodi che hanno destato allarme sull’altopiano e in città: “Non hanno più rispetto per le cose e le persone. Confrontiamoci con questi giovani che spesso non capiscono dove stia il bene e il male”

BRENTONICO. Un carabiniere aggredito da un giovane durante un'operazione antidroga in viale Trento a Rovereto. Due ragazzini che aggrediscono verbalmente un uomo a Brentonico poi pesantemente picchiato poi da genitori e parenti arrivati per una spedizione punitiva vera e propria. E poi sempre in viale Trento dove un minorenne è stato picchiato per essersi rifiutato di fare il fattorino della droga. Tre episodi drammatici di violenza e sopraffazione a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro che hanno destato allarme sociale.
«Basta, non possiamo vivere nella paura» ha detto l'altro giorno il sindaco di Brentonico Dante Dossi. «Anche il nostro Trentino purtroppo deve fare i conti con queste realtà: un tempo queste cose succedevano nelle grandi città, ora però accadono anche nei nostri paesi. E questo non solo ci deve far riflettere, ma ci impone di agire. Tutti quanti noi adulti, noi come istituzioni: dalla parrocchia alla scuola, dal Comune alla Provincia...».
A parlare è don Daniele Laghi, il giovane parroco di Brentonico, attento conoscitore della realtà giovanili e seguitissimo sui social. Cosa sta succedendo don Daniele? Dal suo osservatorio quale realtà emerge?
Dobbiamo fare i conti con un mondo, che anche nel nostro piccolo, è cambiato profondamente. È una realtà che mette molta paura nelle persone: quindi si alzano gli scudi, si alzano le difese e poi è anche facile generalizzare. Gli episodi di cui lei parlava lasciano il segno e fanno pensare: quello che è accaduto qui a Brentonico ha profondamente scosso tutta la comunità. I limiti non ci sono più per nessuno…
In che senso?
Che non c'è più rispetto per niente e per nessuno, né per la divisa, né per un po' di umanità tanto che la vita non sembra contare quasi più per nessuno. In questo contesto vengono a mancare dei pilastri importanti ed è facile accusare la famiglia o la società per la perdita dei valori fondamentali. Ma più che accusare c'è bisogno di riprendersi per mano. Come dicevo si pretendono dei limiti ma senza darli. Bisogna saper dire anche a questi ragazzi che fino ad un certo punto è importante la libertà, ma dopo bisogna sapere fermarsi: c'è la libertà degli altri, c'è la vita degli altri, c'è la società che è impietosa quando diventi grande e non puoi più rimediare. Sono giovani fragili, come fragili lo siamo tutti, siamo tutti bisognosi di essere aiutati.
Spesso si punta il dito contro gli immigrati, ma non sempre è così…
Certo, ci sono però anche dei nostri ragazzi lasciati un po' allo sbando, che distruggono e pestano per noia: questo, ovviamente, genera paura e tensione nella comunità.
Con questi ragazzi è possibile un confronto? Ci sono spazi di dialogo e o ci si trova un muro di chiusura e indifferenza?
Sono convinto che presi singolarmente sono persone anche buone, che hanno voglia di parlare, di raccontare le loro situazioni, di qualcuno che li ascolta ma non li condanna: certo che se li lasci in certi ambienti non capiscono più dove sta il bene e il male, crescono con un'immagine del delinquere come fosse normale. Necessari, come ci insegnavano, a volte il bastone e a volte la carota; non basta reprimere, ci vuole anche umanità per far capire che siamo in una società nella quale tutti dobbiamo convivere rispettando le persone e le regole.
Ma dal punto di vista operativo come si può agire?
Le istituzioni locali devono prendere in mano la situazione e farsene carico. Parlo della Chiesa, del Comune, della Provincia, delle assistenti sociali, dell'aspetto educante della società... È un impegno che dobbiamo prenderci tutti nella consapevolezza che non possiamo rimanere inermi difronte a queste realtà spesso difficili.

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