Più forti che mai, tornano i Carnevali: altrove scompaiono, in Vallagarina resistono
Domenica 9 febbraio al via quasi due mesi di appuntamenti: anche quest’anno praticamente ogni paese avrà il suo evento con distribuzione di maccheroni o altro. Nonostante il peso della burocrazia, sempre più impegnativa, e l’età avanzata in tanti casi dei comitati organizzatori, la tradizione è sempre sentita e difesa
ROVERETO - Ci sono marito e moglie dietro la seguitissima pagina Facebook “Quelli che a Carnevale non si perdono una maccheronata” che ogni anno, intorno a febbraio, dà conto delle decine di feste che in giro per la Vallagarina celebrano il Carnevale.
Alessandra Giordani, di professione docente di informatica, e Simone Albino, consulente aziendale (e musicista degli Yellow Kapras, storica band lagarina), da oltre 15 anni si dedicano alla causa, aggiornando costantemente il calendario degli appuntamenti – con tanto di specifica delle pietanze offerte per ciascuna località - della festa più goliardica dell’anno.
«E mangereccia – precisa Albino –, perché qui in Trentino non c’è paese che non offra un piatto di pasta al ragù, bigoi con le sardele o gnocchi al pomodoro. È un vanto tutto nostro, dato che in nessun altro luogo d’Italia si festeggia il Carnevale con le maccheronate. Abbiamo anche posti dove si possono gustare piatti nostrani come polenta, crauti e mortadela a Pedersano, Manzano di Mori e Moscheri di Trambileno, oppure polenta e renga a Loppio. Senza contare il mitico e centenario Carnevale di Lizzanella, il 4 marzo, con i bigoi in piazza».
Paesi e frazioni offrono diverse pietanze tipiche, e così si può andare a Brentonico per un piatto di brodo caldo, a Pilcante di Ala per le trippe e a Terragnolo per gli arditi che amano la “scodega col pel”.
Un Carnevale tutto gastronomico quello trentino, una tradizione talmente radicata da poter rintracciare le prime feste in maschera a carattere mangereccio già verso i primi del Settecento.
«All’epoca era la polenta il piatto simbolo, il cibo povero per eccellenza che sfamava facilmente, offerto alla comunità il martedì o il giovedì grasso – racconta Albino -. Prima del periodo di festa, i ragazzini giravano nei paesi per la questua, di casa in casa. Chiedevano farina, sale, salsa e tutto ciò che poteva servire alle mamme e alle nonne per cucinare piatti semplici e nutrienti da offrire a tutti».
Bisognerà attendere il primo dopoguerra per arrivare alla raccolta di offerte in denaro per fare cassa, e provvedere poi ad acquistare il necessario per cuocere la pasta nei pentoloni collocati in piazza o per preparare in casa cibi semplici e nutrienti come lo smacàfam.
«Le donne preparavano tutto a mano, come avviene ancora oggi a Sano, dove le nonne cucinano dei magnifici gnocchi fatti rigorosamente a mano e serviti con la salsa di pomodoro, un piatto più unico che raro». Una tradizione sentita e concretamente vissuta che dunque continua, pur con qualche triste battuta d’arresto.
«Le innumerevoli norme di oggi rendono un problema metterci la firma – spiega amareggiato Albino -. Sia per organizzare le feste in piazza, sia per la somministrazione di cibi e bevande, districarsi tra la burocrazia dissuade sempre più i vari comitati. È dura resistere, davvero molto dura. Intorno alla val di Non ormai resiste solo Rabbi, il resto dei paesi non fa più nulla».
Eppure il rito del piatto fumante di maccheroni guadagnato dopo aver atteso pazientemente il proprio turno in fila, da gustare poi in compagnia tra sfilate di mascherine, lanci di coriandoli e gioiose note di bande cittadine, è oggi più vivo che mai.
«Non certo per il fatto che il cibo sia distribuito gratuitamente, perché ormai è davvero difficile che in casa manchi un piatto di pasta da mettere in tavola. Piuttosto è il piacere di mangiare insieme, è la festa, è la tradizione della nostra comunità che non vogliamo in alcun modo perdere. Perché ci identifica e perché è talmente bella da far invidia a chi viene da fuori regione.
Qualche volta creiamo dei veri e propri tour ad uso e consumo dei locali e dei tanti amici che vengono appositamente da tutta Italia. Maccheroni o gnocchi alla prima tappa, polenta e mortadela alla seconda, grostoi o stromboi in un altro posto ancora, passeggiando al sole per una bellissima giornata in compagnia».
Usanze da preservare, quindi, nate per incontrare le necessità dei bisognosi e diventate poi momenti di condivisione gastronomica, oggetto di veri e propri studi condotti in occasione di Expo 2015. «Per l’Expo sono state fatte ricerche approfondite sulle nostre tradizioni trentine, uniche in tutta Italia per l’offerta di cibo alla comunità durante il Carnevale.
Nel nostro territorio c’è ancora tanta voglia di costruire e mantenere forte la dimensione della collettività e solido il senso di appartenenza alla comunità. Che si tratti poi di appartenenza a un paese, a una frazione o semplicemente a un quartiere, non importa».
Consuetudini che la pagina Facebook di Albino e consorte contribuiscono a mantenere vive, raccogliendo le segnalazioni spontanee dei semplici cittadini e dei comitati per il Carnevale, pubblicando le locandine delle maccheronate, creando reel con le foto e i video delle feste. Insomma, facendo assidua attività di informazione, diffusione, e naturalmente promozione, di quella che sembra essere una delle feste più amate e attese in Vallagarina, pur senza alcun contatto ufficiale con le istituzioni o con l’Apt.
«A Rovereto centro non c’è mai stata la distribuzione gratuita di cibo – conclude Albino - ma il Carnevale dei bambini rappresenta una tradizione altrettanto viva e sentita. E poi ci sono le feste a San Giorgio, a Marco e a Lizzana con la classica pasta al ragù».
I Carnevali più frequentati di sempre? «Senza dubbio Mori vecio, Borgo Sacco e Lizzanella, che offre i suoi bigoi con le sardele al martedì grasso da ormai cent’anni. Se non è tradizione questa…».