I figli di un soldato di Borgo fanno causa alla Germania. La storia
L'uomo, allora poco più che un ragazzo, venne catturato assieme ad una sessantina di commilitoni, venne caricato nel settembre del 1943 su un carro bestiame, con il filo spinato alle feritoie e le porte sbarrate. Da quel momento iniziò per lui un incubo
BORGO. In memoria del padre, che durante la Seconda Guerra Mondiale patì la fame e il freddo nei campi di lavoro forzato, hanno deciso di fare causa alla Germania per crimini di guerra. I figli del soldato, originario di Borgo Valsugana e deceduto nel 1994, chiedono un risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti dal padre ad opera delle forze armate tedesche dopo il 3 settembre 1943.
L'uomo, allora poco più che un ragazzo, venne catturato assieme ad una sessantina di commilitoni, caricato su un carro bestiame, con il filo spinato alle feritoie e le porte sbarrate. Durò cinque giorni il viaggio in treno fino al primo campo di lavoro, presso Sagan in Germania, ora Zagan in Polonia.
Un anno dopo venne trasferito nei pressi di Breslau (l'odierna Breslavia, in Polonia), costretto a lavorare per un'azienda tedesca che si occupava di eliche per aerei. «Costituisce fatto notorio, del resto, che gli Imi (internati militari italiani, ndr) - non a caso denominati "schiavi di Hitler" - erano coattivamente prestati dal Terzo Reich al servizio delle aziende tedesche» si legge nell'atto di citazione.
Cosa significava essere "ai lavori forzati"? Dodici ore di lavoro quotidiane con l'incubo di essere colpiti dalle bombe alleate, marce forzate di decine di chilometri al giorno per raggiungere i luoghi di intervento. Come se non bastassero lo sfruttamento e le fatiche dall'alba al tramonto, anche la notte diventava un inferno: nelle fredde baracche erano stipati dai sessanta agli ottanta soldati, che avevano per giaciglio e per scaldarsi un po' paglia. C'era da difendersi dai pidocchi e dal gelo, perché i prigionieri di guerra non avevano altro che la divisa estiva, quella indossata al momento della cattura.
Nel periodo storico che stiamo vivendo, con una guerra così vicina (quella che si sta combattendo in Ucraina) e i drammi dei due conflitti mondiali che paiono così lontani, la memoria e la narrazione storica appaiono sempre più come fondamentali strumenti di pace. Strumenti che per troppo tempo sono stati lasciati in un angolo, considerati non necessari, quasi superflui: con il risultato che gli errori e gli orrori del passato sono tornati attuali, che il sacrificio dei nostri nonni è servito a poco.
Come ricordano i figli del soldato di Borgo, agli italiani fatti prigionieri dopo l'armistizio mancava tutto, dall'assistenza sanitaria (tante le morti per tubercolosi, polmonite, pleurite e tifo) al cibo. Ogni prigioniero aveva un solo pezzo di pane al giorno, circa 50 grammi, e una brodaglia di rape e patate. Quando al campo arrivarono gli Alleati, il giovane valsuganotto era in condizioni tali da non essere in grado di rientrare subito in patria: denutrito e debole, con l'aiuto degli americani recuperò in tre mesi la salute, e finalmente poté partire alla volta del Trentino. Ma ciò che patì nei campi di lavoro tornò nella sua mente sotto forma di incubi notturni per gran parte della sua vita. Una patologia che oggi è conosciuto come disturbo da stress post traumatico e per la quale dovette sottoporsi a cure psichiatriche.
Come ricostruito dalla famiglia attraverso documenti dell'epoca (fra questi il foglio matricolare e la piastrina identificativa dello Stammlager, il campo di lavoro forzato) il soldato di Borgo fu prigioniero dei tedeschi per 698 giorni, lavorando per un pezzo di pane e senza ricevere neppure un soldo.
I figli, che si sono affidati all'avvocato Marco Seppi e all'avvocato Matteo Miatto del foro di Venezia, chiedono alla Repubblica Federale di Germania di ottenere il salario non corrisposto dal Terzo Reich per il lavoro coattivamente prestato del padre durante la prigionia, pari a circa 20mila euro, oltre un risarcimento per danno non patrimoniale, per una cifra complessiva di 186mila euro. La richiesta di presentare la causa in memoria del padre aveva sforato di un paio di giorni il termine previsto dal decreto legge 36 del 2022 (misure urgenti per l'attuazione del Pnrr), ossia entro il 27 ottobre 2022.
Tuttavia nel decreto Milleproroghe promulgato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella venerdì, i termini si riaprono grazie ad una proroga di quattro mesi. E istituito presso il ministero dell'Economia e delle Finanze il "Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra contro l'umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich, nel periodo tra il 1° settembre 1943 e l'8 maggio 1945". Sono stanziati (è previsto un rifinanziamento del fondo nel Milleprorogghe) 20.000.000 di euro per l'anno 2023 e 11.808.000 per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026.