Fiera, negozio storico chiude e dona alla Croce rossa tutte le calzature rimaste
Claudio Tamanini ha salutato e ringraziato i suoi clienti qualche giorno fa: è l'addio a una bottega che affonda le radici nel 1893. «Progressiva discesa degli affari, poi accelerata con l'avvento dell'online che oggi è oltre il 50%. I prodotti durano meno, i clienti sono meno affezionati, si è perso pure il contatto umano»
FIERA DI PRIMIERO - Con un cartello sobrio e sincero affisso alla vetrina, Claudio Tamanini ha salutato i suoi clienti e chiuso, qualche giorno fa, la sua storica bottega di calzature a Fiera di Primiero. «Dal profondo del cuore voglio ringraziare i miei clienti e tutti coloro che negli anni mi hanno sostenuto e supportato nel mio lavoro», ha scritto. Una frase breve e intrisa di riconoscenza, che suggella una lunga storia fatta di relazioni, fiducia e gratitudine.
La storia del negozio affonda le radici nel 1893, quando Alessandro Bonetti aprì la sua calzoleria nell'attuale via Terrabugio, che nei secoli ha cambiato nome più volte: Contrada di Mezzo, Contrada Lunga, via Maggiore, via Trento, via D'Annunzio, via Balbo, ma non vocazione: è sempre stata la via del commercio.
A confermare l'attività già ben avviata, una pubblicità del 1912 contenuta nella Guida di Primiero redatta da Cesare Battisti - martire per l'Italia, traditore per l'Austria, per tutti un esperto geografo e cartografo nonché giornalista - cita infatti la "Calzoleria con Negozio di Scarpe" del signor Bonetti, dove "si eseguisce qualunque riparazione".
Nel dopoguerra, lo stabile passa progressivamente alla famiglia Tamanini e Claudio racconta: «Le figlie del signor Bonetti hanno ceduto la licenza a mio zio Ludovico. Mio padre Michele, nel frattempo, vi aveva iniziato a lavorare con lui come garzone. Quando poi si sposò, intorno al 1947-48, avviò una società con mio zio, dividendosi l'attività in parti uguali. Proseguì fino agli anni Settanta, ma, a causa di problemi di salute, si ritirò e subentrò mia madre nella gestione, che portò avanti fino al giugno del 1991. Poi ho iniziato io. E sono stato l'ultimo custode di questa lunga storia».
Ciò che colpisce, però, non è solo la fine di un'attività commerciale così radicata nel tessuto locale: è il gesto che ha accompagnato questa chiusura. Claudio ha donato tutte le calzature rimaste - circa 1200 paia - alla Croce rossa di Trento, perché potessero andare a chi ne ha davvero bisogno.
«È stata un'idea di mia moglie - racconta - e devo dire che è stata la scelta giusta. In poche ore una catena umana di una dozzina di volontarie e volontari, pallet nastrati, montacarichi, camion: tutto era organizzato, tutto bellissimo. Ho risolto un problema e ho fatto qualcosa di utile».Con lucidità e una punta di amarezza, Claudio riflette anche sui cambiamenti degli ultimi decenni.
«Fiera è migliorata nel tempo, ma la clientela no. Una volta c'erano i siori, turisti di qualità, si lavorava bene, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta. Poi è cominciata una lenta discesa. L'avvento dell'online ha fatto il resto: negli anni Duemila rappresentava il 5-6% del mercato, oggi è oltre il 50%. I prodotti durano meno, i clienti sono meno affezionati, si è perso pure il contatto umano».
Quella di Claudio non è solo la storia di un negozio: è la storia di una famiglia, di una comunità, di una trasformazione che segna l'inesorabilità del tempo. Ma è anche la testimonianza che si può chiudere una porta aprendone idealmente molte altre: tutte le paia di scarpe che non verranno più vendute o sistemate nella vetrina di via Terrabugio cammineranno ancora, nei piedi di chi ne ha bisogno.
Un gesto concreto, silenzioso, che racconta più delle parole. Perché la dignità del lavoro, l'amore per la propria terra e il senso di responsabilità sociale, a volte, si manifestano proprio così: senza rumore, ma lasciando un'impronta indelebile.