Egitto in fiamme, nuove stragi
Le preghiere funebri hanno abbracciato anche ieri il Cairo al calar della sera: due stragi raccapriccianti, costate la vita nel complesso ad oltre 60 persone, hanno tinto di rosso la terra d'Egitto. Nel Nord del Sinai ierti mattina un gruppo di 11 uomini armati a bordo dei pickup - secondo le prime ricostruzioni ufficiali sull'accaduto - avrebbe attaccato un convoglio di due minibus e costretto i 25 agenti di polizia appena congedati a scendere. Li hanno legati, fatti mettere in fila, poi hanno sparato uccidendoli tutti
Le preghiere funebri hanno abbracciato anche ieri il Cairo al calar della sera: due stragi raccapriccianti, costate la vita nel complesso ad oltre 60 persone, hanno tinto di rosso la terra d'Egitto.
Nel Nord del Sinai ierti mattina un gruppo di 11 uomini armati a bordo dei pickup - secondo le prime ricostruzioni ufficiali sull'accaduto - avrebbe attaccato un convoglio di due minibus e costretto i 25 agenti di polizia appena congedati a scendere. Li hanno legati, fatti mettere in fila, poi hanno sparato uccidendoli tutti. I cadaveri dei poliziotti sono stati trovati poco dopo, in un bagno di sangue sul ciglio della strada.
Il massacro ha fatto scattare la massima allerta, anche oltreconfine, dove gli elicotteri israeliani si sono levati in volo, nel timore di minacce imminenti nell'area, che ospita importanti resort turistici. Il clima si è poi ancora più acceso, con l'assassinio di un ufficiale, «colpito da un cecchino».
È la stessa zona teatro della campagna militare dell'Esercito, scattata nelle scorse settimane per fronteggiare la crescente presenza delle formazioni jihadiste. La scorsa settimana un raid degli elicotteri Apache egiziani aveva colpito diversi miliziani pronti a lanciare almeno un missile contro Eliat, l'aeroporto israeliano distante pochi chilometri dal confine.
I funerali dei miliziani si sono svolti davanti a migliaia di sostenitori, che hanno accusato Israele dei raid, e proclamato la jihad.
La strage dei poliziotti in Sinai arriva all'indomani del tentativo di fuga di un gruppo di Fratelli musulmani arrestati finito nel sangue: 38 i confratelli morti, recita la nota del ministero dell'Interno, «asfissiati dai gas lacrimogeni» nel furgone che li trasportava dopo che avevano preso in ostaggio una guardia carceraria nel Delta del Nilo.
Secondo altre versioni il convoglio avrebbe subito un vero e proprio attacco: ne sarebbe seguita una furiosa sparatoria.
In questo quadro, l'Alleanza pro-Morsi ha chiesto una inchiesta internazionale sui «crimini orribili di Sisi», sbattendo la porta in faccia al generale che ieri aveva avanzato timidi segnali di apertura ai Fratelli musulmani, seppur conditi da una retorica assai minacciosa.
I pro-Morsi sono tornati a manifestare anche ieri, con una tattica mordi e fuggi tesa evidentemente a evitare altre vittime, che rischiano di far perdere al movimento un sostegno popolare esteso. Negli ultimi giorni i cortei spontanei alla fine delle preghiere nelle moschee si sono fatti più sporadici, e i raduni contano sempre meno persone, nulla comunque di paragonabile alle decine di migliaia di militanti che hanno affollato per oltre un mese Rabaa e Nahda, le due piazze simbolo della rivolta sgomberate nel sangue.
La diplomazia frattanto è sempre al lavoro: mercoledì i ministri degli esteri della Ue si riuniranno per ridefinire le relazioni dell'Europa con l'Egitto. Tra le ipotesi di pressione, la riduzione degli aiuti e l'embargo della fornitura di armi. Il Dipartimento di Stato Usa ha assicurato che non taglierà i suoi aiuti, ma ha ribadito un fermo no allo scioglimento dei Fratelli musulmani. Riad ha invece confermato l'offerta di aiuto al Cairo, dicendosi pronta a rimpiazzare i tagli dell'Occidente