Siria, ora si rischia il conflitto mondiale
Giovanetti: «La debolezza di Obama, la sua inconsistenza nella politica estera, l'insuccesso della strategia dei «regimi amici» sono le cause dell'incauto sventurato passo del presidente americano. L'appello risoluto lanciato da papa Francesco alle nazioni del mondo per scongiurare la guerra in Siria e il digiuno proclamato per oggi hanno forse scosso e richiamato un'opinione pubblica distratta sulla gravità di quanto sta accadendo in Medio Oriente»I vostri commenti
L 'appello risoluto lanciato da papa Francesco alle nazioni del mondo per scongiurare la guerra in Siria e il digiuno proclamato per oggi hanno forse scosso e richiamato un'opinione pubblica distratta sulla gravità di quanto sta accadendo in Medio Oriente e sui troppi rischi che un conflitto locale si trasformi in guerra mondiale.
Le dimensioni e il peso dei soggetti coinvolti, la polveriera religiosa ed etnica che vi sottostà, gli appetiti geopolitici delle nazioni confinanti, gli interessi economici e l'assenza di qualunque legittimazione giuridica del diritto e della comunità internazionale, rendono l'intervento blitz punitivo che ha in mente il presidente americano Obama il tragico inizio di una lunga guerra al buio di dimensioni internazionali, con conseguenze devastanti non solo sull'intera area mediorientale (che è già di suo una polveriera pronta ad esplodere), ma sul Mediterraneo, l'Europa e gli equilibri mondiali.
Per gli Stati Uniti si risolverebbe nella terza guerra non vinta (cioè persa) in pochi anni dopo Iraq e Afghanistan, e dopo il sostanziale fallimento di tutta la politica estera americana dell'ultimo decennio nel Mediterraneo e in Medio Oriente, come s'è ampiamente visto negli esiti della primavera araba, e nelle condizioni di guerra civile perpetua di Egitto, Libia e della stessa Siria.
Intendiamoci: la gravità dei massacri compiuti dal regime di Assad è enorme, e l'eventuale utilizzo di armi chimiche (finora non dimostrato, come peraltro avvenne con Saddam Hussein in Iraq) richiedono una forte iniziativa politico-diplomatica internazionale, una seria conferenza di pace della regione e pressioni su Damasco.
Pressioni sul regime perché lasci campo aperto agli ispettori dell'Onu. Oltre ad una decisa condanna morale di ogni violenza perpetrata sui civili, donne e bambini (peraltro anche da parte degli insorti).
L'intervento armato «punitivo» di Barack Obama da solo, però, senza alcuna legittimazione delle Nazioni Unite, in totale spregio delle consuetudini e delle convenzioni internazionali, in aperta sfida al mondo musulmano ma anche alle altre potenze mondiali, a cominciare dalla Russia di Putin, si configura come la fine di un governo «multilaterale» del mondo quale si è determinato dopo la caduta del muro di Berlino (a parte la parentesi disastrosa dell'unilateralismo di George Bush), e l'inizio dell'anarchia geopolitica non solo per il Medio Oriente, ma per il Mediterraneo intero, con la messa all'angolo definitiva degli Stati Uniti quale protagonista e garanzia di ordine globale.
Proprio la debolezza di Barack Obama, la sua inconsistenza nella politica estera, l'insuccesso della strategia dei «regimi amici» (a cominciare da Mubarak, ma anche lo stesso Assad, armato da armi italiane, inglesi e tedesche), l'incapacità degli Stati Uniti di prendere atto della nuova distribuzione della potenza nel sistema internazionale con nuovi continenti che si fanno avanti, sono le cause dell'incauto sventurato passo del presidente americano. Il quale, per paura di perdere la faccia, rischia ora di schiacciare il pulsante di avvio di una tragedia mondiale, coinvolgendo Russia e Iran (primi alleati di Damasco), Turchia Arabia Saudita Qatar e le monarchie del golfo (prime interessate alla spartizione dell'influenza regionale post-Assad), e l'intera galassia religiosa islamica e orientale, in uno scontro non solo cristiani-musulmani, ma anche sciti-sunniti, copti, maroniti, armeni, caldei e greco-melkiti dagli esiti inimmaginabili. Una sorta di riedizione della teorizzata «guerra di civiltà», tanto cara a George Bush e ai suoi seguaci.
L'ottuso intestardimento di Barack Obama non solo ha isolato l'America e ha rafforzato regimi come quello di Putin, da tempo alla ricerca della ricostruzione della Grande Russia (e questa volta dalla sua ha anche l'arma della ragione e del diritto). Assomma tutto il potenziale di una rovinosa devastazione dell'ordine mondiale e della sicurezza internazionale, senza risolvere alcuno dei problemi politici, tribali, religiosi e settari della Siria e del Medio Oriente intero, ma anzi riversando milioni di profughi nel Mediterraneo, alimentando la guerra civile in atto in Siria, contagiando le aree vicine, a cominciare dal Libano dove l'Italia ha pure presenti i suoi soldati in missione umanitaria.
Questo senza trascurare gli effetti annientanti di un conflitto di tale portata sull'economia mondiale, in cerca ormai da troppi anni di rialzarsi dalla più spaventosa crisi dell'ultimo secolo, e che (a parte le industrie degli armamenti) subirebbe contraccolpi letali.
L'iniziativa di oggi di papa Francesco, giudicata da alcuni insufficiente e poco con i piedi per terra, in verità può essere lo scossone che richiama tutti ad un bagno di realtà. Non regge, infatti, nemmeno l'imperativo morale alla guerra per riscattare i morti di Assad e punire il regime. La storia insegna che gli Stati Uniti non sono intervenuti in conflitti con un numero di vittime decisamente più elevato di quello che si registra in Siria, e una guerra di tale portata si tradurrebbe in aumento di vittime a livello esponenziale, immisurabile tanto rischia di essere elevato.
La soluzione della crisi siriana e mediorentale non può essere affidata alle armi, ma soltanto alla politica e alla diplomazia internazionale. Prima ancora che per ragioni etiche, morali, religiose, per la realtà delle cose e del quadro generale che si è venuto a determinare. Anche l'Italia deve fare la sua parte, spingendo per una conferenza internazionale di pace, una nuova definizione degli equilibri regionali e mondiali, la firma da parte della Siria del bando delle armi chimiche, elaborando e portando avanti - finalmente - una politica mediterranea adeguata.
Geopoliticamente il nostro Paese è la penisola europea proiettata nel Mediterraneo. Storicamente, etnicamente e culturalmente siamo vocati naturaliter a guidare la politica meridionale del Continente. Dobbiamo esserne in grado e all'altezza, non solo per riaffermare un nostro ruolo in Europa, ma come contributo alla stabilizzazione del Mediterraneo e come impegno alla costruzione della sicurezza e della pace. Non è poco. L'esempio di papa Francesco e della sua travolgente e contagiosa iniziativa di pace vanno presi sul serio.
p.giovanetti@ladige.it
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