Obama promise la svolta: non ce l'ha fatta e non glielo perdonano
Un'«anatra zoppa», ma anche ferita. I democratici sono stati duramente sconfitti nelle elezioni di «midterm» dai repubblicani, ma il risultato del voto riflette la portata della disfatta personale di Barack Obama.
Il presidente entrato trionfalmente alla Casa Bianca sei anni fa si è svegliato ieri mattina non solo con un Congresso totalmente sotto il controllo dei repubblicani, ma anche con alcuni governatori in Stati che da anni non vedevano il colore rosso, quello del Grand Old Party. Basti pensare all'Illinois, il «suo» Stato, uno dei pochi dove il presidente americano è andato a sostenere il candidato democratico.
Sono mancati i voti dei gruppi sociali sui quali il presidente puntava: le donne, per cominciare, ma anche afroamericani e minoranze. Quelli che ne hanno decretato il trionfo nel 2008 e 2012, e che ora invece lo hanno abbandonato. Delusi, e soprattutto arrabbiati.
Al momento dell'ingresso alla Casa Bianca, nel 2008, Obama aveva una robusta maggioranza in entrambe le camere del Congresso e promise di cambiare la politica. Sogni e speranze condivise dall'elettorato, che gli ha rinnovato la fiducia per il secondo mandato.
Nel 2012 il 46% degli elettori riteneva che il Paese andasse «nella giusta direzione». Quest'anno appena il 31%, mentre solo uno su cinque ritiene che la prossima generazione vivrà meglio di oggi.
Obama per molti ha fallito nel dare prova di leadership, in economia come in politica estera. Nonostante si sia trovato a gestire la crisi più profonda del dopoguerra e una situazione geopolitica senza precedenti negli ultimi decenni. Aveva promesso di cambiare le cose e di spazzare via quel clima politico dove i buoni propositi, le riforme, il sogno di consegnare un'America migliore ai propri figli vengono risucchiati dalle paludi del Congresso, frustrati dall'opposizione muro contro muro tra democratici e repubblicani.
Ma non ce l'ha fatta, e questo gli elettori non glielo hanno perdonato. Ed è quasi impossibile che ci riesca nei due anni che gli restano alla Casa Bianca. Perché ora si apre una fase politica nuova.
Per il presidente si profila un fine mandato da «anatra zoppa», in cui non potrà contare su una maggioranza parlamentare, ma solo sui suoi poteri esecutivi. Tenterà di governare e di far avanzare la sua agenda a colpi di decreto, a meno che non trovi la strada del compromesso su temi cruciali come il lavoro e l'immigrazione. Non c'è molto tempo per fare accordi bipartisan, prima che ci si butti nella campagna presidenziale del 2016.
E molti già considerano provvidenziale l'imminente viaggio del presidente: parte domenica per una settimana in Cina, Birmania e in Australia per il G-20. Un viaggio che lo terrà lontano da una Washington «ridisegnata».