Uber, boom e grane della app «anti-taxi»
È senza freni Uber. Il valore dell’applicazione che ha fatto infuriare i tassisti di mezzo mondo schizza a 40 miliardi di dollari grazie a nuovi investitori. Ma di pari passo alla crescita economica, aumentano le grane per l’azienda di San Francisco. Dopo le accuse di concorrenza sleale, le rimostranze di alcuni passeggeri che lamentano comportamenti scorretti da parte degli autisti e la bufera per l’approccio aggressivo nei confronti dei giornalisti scomodi, arriva un’altra grana.
L’azienda avrebbe eliminato dal suo blog una ricerca che mostrava il rapporto fra le sua corse e i luoghi dove c’è prostituzione e altri crimini. La segnalazione arriva da Gina Neff, professore associato di comunicazione all’Università di Washington. Secondo il sito specializzato VentureBeat - ma non è l’unico a riportare la notizia - la ricerca scomparsa si intitolerebbe «Location knowledge is a proxy for Uber demand». Sarebbe stata condotta nel 2011 dal data team di Uber e mescolerebbe i dati derivanti dalle corse delle sue auto anche a statistiche su consumo di alcol, prostituzione e altri crimini. «Vi mostriamo dove avvengono i crimini - in particolare prostituzione, furti e rapine - e come, in base a questi dati, possono migliorare i modelli predittivi della richiesta dei servizi Uber», sosteneva la ricerca.
In pratica, nella ricerca l’azienda spiegava che usa i suoi dati per predire quando e dove scatterà la domanda per i suoi servizi: «La localizzazione è importante per noi perchè ci aiuta a ridurre i tempi di attesa». E Uber arriva a ipotizzare che «il crimine può essere usato come ‘indicatorè della popolazione non residente» e che quindi ha bisogno di spostarsi. In particolare, facendo l’esempio di San Francisco, dove la società ha incrociato i dati con la mappa dei crimini della città (San Francisco Crimespotting), l’azienda indica che i «quartieri con più prostituzione, consumo di alcol, furti, vandalismo e rapine, sono quelle dove c’è più popolazione e quindi ci sono più corse Uber». Indicazioni che in qualche caso potrebbe essere d’aiuto alle forze di polizia ma in altri potrebbero aprire un polverone sulla privacy. E in questo momento sembrerebbe l’ultima cosa di cui l’azienda avrebbe bisogno.
Dopo le ire dei tassisti, le accuse di concorrenza sleale da parte dei concorrenti come Lyft e Sidecar, ma anche casi di aggressione da parte degli autisti ad alcuni clienti, Uber è stata di recente al centro di polemiche causate da uno dei suoi manager, che ha suggerito l’assunzione di investigatori per indagare nella vita di giornalisti critici sul servizio.
Nonostante questo, il valore della società cresce a dismisura. Lanciata nel 2010 a San Francisco, in quattro anni la compagnia dei due startupper Garrett Camp e Travis Kalanick opera in oltre 200 città sparse in 45 paesi nel mondo e ha raggiunto un valore di 40 miliardi di euro grazie a nuovi investitori. Se confermato, porterebbe la società ad una volta e mezzo la capitalizzazione di Twitter.