Si cercano nuove rispostealll'avanzata dell'Isis in Libia
Altri sette raid con «decine di morti» sono stati compiuti dall’aviazione egiziana contro postazioni «roccaforti» dell’Isis a Derna, città nell’est della Libia, nella notte.
Per vendicare l’uccisione dei copti sgozzati dal’Isis, l’Egitto ha dunque lanciato almeno quattro ondate di raid aerei in Libia che hanno causato decine di vittime tra i jihadisti dell’Isis, soprattutto nel «califfato» di Derna. Gli attacchi hanno ricevuto l’appoggio dell’aviazione del governo di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale ma sono stati condannati dalle milizie filo-islamiche al potere a Tripoli e hanno innescato il rapimento di altri cittadini egiziani.
I raid, iniziati all’alba di ieri, erano stati preannunciati poche ore prima dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, che aveva avvertito che l’Egitto si sarebbe riservato «il diritto di reagire» all’uccisione dei 21 cristiani egiziani da parte dell’Isis. Secondo fonti ufficiali libiche, le incursioni di F-16 e YF-15 hanno ucciso 64 miliziani dello Stato islamico, tra cui tre «leader», e ne hanno ferito decine di altri.
I raid sono stati concentrati nei dintorni di Derna, la città orientale costiera divenuta un califfato l’anno scorso, ma caccia libici hanno colpito anche Sirte e Ben Jawad. Nel mirino degli aerei «accampamenti, postazioni di addestramento e armi e depositi di munizioni», secondo un annuncio delle Forze armate egiziane. Fra l’altro è stata distrutta una casa-deposito di «missili terra-aria», è stato precisato da fonti ufficiali libiche che hanno smentito la presenza di civili fra le vittime (tre bambini e due donne secondo l’agenzia Lana, vicina al governo non-riconosciuto di Tripoli).
La «spada che amputa il terrorismo», come il Cairo ha definito la sua aviazione per la prima volta in azione all’estero dalla Guerra del Golfo del ‘91, però non basta: l’Egitto e Tobruk hanno più o meno indirettamente invocato uno spostamento alla Libia dei raid aerei internazionali in corso contro l’Isis in Iraq e Siria. Senza «azioni militari» da parte delle «potenze mondiali» la minaccia dell’Isis «si sposterà nei Paesi europei, in particolare l’Italia», ha ammonito il premier libico Abdullah al Thani, riferendosi però solo a missioni aeree e non di terra, dichiaratamente malviste dal generale libico più potente, Khalifa Haftar.
Intanto Fajr Libya, la coalizione di milizie filo-islamiche al potere a Tripoli, ha invitato a manifestare contro i raid del «terrorista» Sisi e ha esortato i «fratelli egiziani» a lasciare la Libia entro 48 per evitare ritorsioni, peraltro subito realizzatesi con il sequestro di 35 persone, per lo più braccianti, in zone controllate dall’Isis e dai suoi alleati di Ansar al Sharia.
Dopo quello da 40 mila persone dell’anno scorso, il Cairo sta approntando un ponte aereo con perno in Tunisia per evacuare i suoi cittadini: impresa enorme, visto che si tratta di centinaia di migliaia di persone. E con un annuncio che lascia prevedere una recrudescenza del conflitto fra Tobruk e Tripoli, l’aviazione regolare libica ha avvertito la popolazione di «stare lontani da possibili obiettivi» fra l’altro a Misurata.
E le teste mozzate e gettate nel Mediterraneo dei 21 cristiani copti egiziani in Libia destano raccapriccio anche alle Nazioni unite. Il Palazzo di Vetro è chiuso per la festa del Presidents Day ma la diplomazia è attivamente al lavoro per arrivare mercoledì a una riunione del Consiglio di Sicurezza. La Francia tira le fila del negoziato dopo il colloquio telefonico tra i presidenti Abdel Fattah al Sisi e Francois Hollande mentre il ministro degli esteri egiziano Sameh Shukri è in volo per New York.
L’obiettivo dei contatti è una risoluzione i cui contorni sono tuttora fluidi anche rispetto ai termini, già diluiti nel 2011 (no alle truppe di terra), l’Articolo VII della Carta dell’Onu potrebbe essere invocato. Potrebbe essere comunque un primo passo: l’atto di nascita di una coalizione di Paesi incaricati di un intervento stabilizzatore. Ne potrebbero far parte, oltre Italia e Francia, anche Gran Bretagna, Germania, Spagna, Malta e forse altri. «Gli Stati Uniti saranno coinvolti nella strategia, quanto alla partecipazione diretta si vedrà», aveva detto il ministro Roberta Pinotti ieri in una intervista a Repubblica.
Per dare il via alla coalizione manca però un tassello chiave: il placet della Libia. E chi è la Libia? Abdullah al Thani, il premier del governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, ha chiesto oggi all’Occidente di sferrare un’offensiva aerea per stanare i jihadisti che controllano Tripoli, «altrimenti - ha detto sul sito della Reuters - la minaccia dilagherà nei Paesi europei e specialmente in Italia».
La Libia ha un ambasciatore all’Onu, Ibrahim Dabbashi, che nel 2011 (era allora numero due al Palazzo di Vetro per la Jamahiyria e fece voltafaccia) aiutò a convincere l’amministrazione Obama a salire a bordo all’operazione militare contro Gheddafi. Dabbashi è stato dichiarato qualche mese fa illegittimo dal Congresso Generale Nazionale di Omar al Hasi a Tripoli e da allora ha tenuto un basso profilo.
In attesa che la diplomazia faccia il suo corso, dall’Onu sono partite parole di condanna: in una dichiarazione i 15 membri del Consiglio di sicurezza hanno «fermamente» condannato le decapitazioni in Libia definendole un «vile e odioso atto di terrorismo». Sulla stessa linea ieri il segretario generale Onu Ban Ki-Moon ha denunciato la pratica di prendere di mira persone sulla base della loro religione.
Il dialogo avviato da Bernardino Leon in Libia «è la chance migliore per aiutare la Libia a uscire dalla crisi in cui si trova», ha detto Ban: «Solo attraverso il dialogo i libici potranno costruire uno stato e istituzioni capaci di fronteggiare il terrorismo».
Nel frattempo, a Roma, Matteo Renzi respinge l’accusa di poca serietà del governo che in 24 ore sarebbe passato dall’idea di un intervento militare in Libia ad una brusca frenata.
«Nessuno ha mai pensato a bombardare da soli o a fughe in avanti. Siamo coerenti con la richiesta di un’iniziativa Onu visto che da un anno sottolineiamo la priorità libica a tutti i livelli», chiarisce il premier in sintonia con la posizione del Quirinale per il quale non servono accelerazioni ma prudenza, la stessa che consiglia l’intelligence italiana alla luce delle tre minacce in tre giorni, considerate attendibili, all’Italia.
La priorità del premier è solo una, spiegano ambienti di palazzo Chigi: un intervento, prima di tutto politico e diplomatico, dell’Onu per uscire dall’impasse. L’Italia, spiegano le stesse fonti, è pronta a fare di più se l’Onu farà di più.
Una linea che Renzi vede in continuità con gli interventi dei ministri Paolo Gentiloni e Roberta Pinotti, con i quali il presidente del consiglio è in continuo contatto. Ma a dire il vero i due ministri nel week-end avevano indicato esplicitamente l’opzione militare spingendosi anche a ipotizzar euna missione di terra a guida italiana e parlando di un contingente nazionale di 5 mila militari di cui sarebbe stato pronto l’utilizzo in Libia. Fra i primi a reagire criticamente a queste uscite c’era stato l’ex premier Romano Prodi, che aveva invitato a un supplemento di analisi sulla situazione libica prima di mettere sul tappeto azioni militari dense di incognite e di rischi.
Ora Renzi insiste sul dialogo con gli egiziani, che hanno centinaia di chilometri di confine con la Libia; il premier ritiene che vada cercato l’accordo all’Onu sia sugli sforzi dell’inviato sia sostenendo decisioni del consiglio di sicurezza. «L’Onu - sostiene - deve essere un changemaker in Libia e per questo l’Italia, l’unica che da un anno a questa parte ha tenuto l’ambasciata aperta a Tripoli, intensificherà la sua linea».
Nessuna fuga in avanti ma cautela è anche la posizione del Quirinale per il quale è fondamentale la presenza di un quadro internazionale, con il ruolo dell’Onu, per ogni iniziativa prossima sulla Libia. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella, spiegano fonti parlamentari, non avrebbe avuto ancora contatti con il presidente del consiglio. Nè si guarda alle prese di posizione dei singoli ministri visto che per il Colle la linea del governo sulla crisi libica sarà solo quella che verrà espressa in Aula domai, mercoledì, alla Camera
Mentre il ministro dell’Interno Alfano convoca un vertice speciale sull’Isis e il Parlamento si prepara a discutere (mercoledì alla Camera) urgentemente dell’escalation libica, nel dibattito politico si fa sempre più strada il no alla guerra; con il governo che - come detto - fa registrare rispetto ai toni di domenica uno «stop» che non piace a molti e che secondo Renato Brunetta (Fi) «genera confusione».
Davanti ad una minaccia giunta a poche miglia dal «bagnasciuga» siciliano, con il rientro degli italiani dalla Libia dopo alla chiusura dell’ambasciata a Tripoli, a prevalere sembra l’ipotesi del no alla guerra.
L’atteggiamento di Matteo Renzi scatena, con toni diversi, l’opposizione di destra e di sinistra. E non manca chi continua a considerare l’intervento militare come indispensabile davanti alla minaccia delle milizie del Califfo, che puntano senza mezzi termini a Roma.
Matteo Salvini attacca il governo: «L’esecutivo Renzi è pericoloso, parla di guerra a vanvera e ha il ministro Alfano che ammette che c’è la possibilità che tra i clandestini si nascondano terroristi», sostiene il leader della Lega, continuando a chiedere «di soccorrere e aiutare i clandestini in mare ma di non farli sbarcare. Il governo parla di guerra e poi facciamo i traghettatori per conto dell’Isis?». Sulla stessa linea Giorgia Meloni di Fdi, che chiede di interrompere l’accoglienza ai profughi «finché l’Isis non sarà cacciato dalle coste libiche».
E durissimo nel sarcasmo è Beppe Grillo: «Se Renzie vuole la guerra ci vada lui con Napolitano. Vedendoli, l’Isis si farà una gran risata e ci risparmierà. No alla guerra in Libia», scrive sul blog il leader M5S definendo il presidente del Consiglio «novello Brancaleone». «Non spetta al governo decidere se entrare in guerra ma ancora al presidente. Aspettiamo un monito da Mattarella, anche piccolo piccolo, al bulletto di Rignano. No alla guerra».
E l’atteggiamento di Renzi non va giù a Nichi Vendola. Il leader di Sel si dice «agghiacciato nell’ascoltare parole insensate e spifferi di guerra dai ministri, ora Renzi cerchi di mettere ordine nel disordine del suo governo».
Ma anche nel Pd, soprattutto da parte della minoranza, cominciano a levarsi prime voci critiche all’eventualità di un intervento militare in Libia: Pippo Civati ribadisce la sua posizione pacifista. «Esserlo è giusto». E in merito alla vicenda della Libia chiama in causa Romano Prodi: «Mi fa piacere che sia intervenuto e che abbia usato parole chiare rivendicando il necessario spazio alla diplomazia e alla politica».
«L’intervento militare ci può stare ma le condizioni devono essere estreme - ha concluso - ricordo che in Libia ci siamo già stati e non è che ha portato tutti questi risultati...».
Nel frattempo, tutti chiedono alle feluche europee piuttosto che ai generali della Nato di intensificare gli sforzi.