Cgil, precarietà dal Jobs Act. Ecco la legge di iniziativa popolare
«Gli appalti sono il nostro lavoro. I diritti non sono in appalto». Queste le parole scelte dalla Cgil che mentre condanna la riforma del lavoro targata Renzi, lancia una campagna a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare sul tema. Attraverserà tutto il Paese un furgone, adeguatamente bardato delle immagini della campagna, che da Aosta ha iniziato un viaggio che percorrerà tutto lo stivale per chiudersi a Roma negli ultimi giorni di aprile.
L’obiettivo è la raccolta di firme a sostegno di una proposta di legge che, in estrema sintesi, propone la garanzia dei trattamenti dei lavoratori impiegati negli appalti privati e pubblici; il contrasto alle pratiche di concorrenza sleale tra le imprese; la tutela dell’occupazione nei cambi di appalto. Le motivazioni di questa iniziativa della Cgil nelle parole del segretario confederale, Franco Martini.
«La parola appalti - spiega il dirigente sindacale - è troppo spesso legata al termine malaffare, ma dietro la ‘corruttelà ci sono centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori che pagano il prezzo più alto di questa deriva. Gli appalti sono infatti prevalentemente sinonimo di lavoro povero, destrutturazione del ciclo produttivo, di sfruttamento del lavoro, di assenza di diritti, di inquinamento dell’economia. Elementi che impongono una politica diversa».
La Cgil attacca anche di nuovo la riforma del lavoro varata dal governo Renzi e criticata ance da vari esponenti di primo piano del Pd, come l'ex ministro Cesare Damiano e Stefano Fassina: «Il Jobs Act è il mantenimento delle differenze e non la lotta alla precarietà», dice la segretaria Susanna Camusso.
«Il contratto a tutele crescenti - aggiunge - è la modifica strutturale del tempo indeterminato che ora prevede, nel caso di licenziamento illegittimo o collettivo, che l’azienda possa licenziare liberamente pagando un misero indennizzo».
Sulla precarietà, prosegue la leader del sindacato, «siamo alla conferma dell’esistente, se non al peggioramento, come nel caso del lavoro accessorio e all’assurdo sulle collaborazioni che si annunciano abolite dal 2016 ma comunque stipulabili in tanti casi, mentre nulla si dice delle cococo della pubblica amministrazione».
Insomma, «dove sarebbe la svolta? Il governo parla di diritti ma mantiene la precarietà, dimentica le partite Iva e regala a tutti licenziamenti e demansionamenti facili. Per rendere i lavoratori più stabili non bisogna per forza renderli più licenziabili o ricattabili».
Per la Cgil «quello che il governo sta togliendo e non estendo ai lavoratori stabili e precari, andrà riconquistato con la contrattazione e con un nuovo Statuto dei lavoratori».