Rai, è già scontro sulla riforma proposta dal governo
Piovono già critiche sul disegno di legge varato ieri dal governo per modificare la governance della Rai. Un consiglio di amministrazione a 7 membri (dai 9 attuali) e un amministratore delegato con poteri rafforzati: questi i punti principali della riforma della che il Consiglio dei ministri ha approvato ieri. I membri del cda saranno eletti due dalla Camera, due dal Senato, due dal Tesoro (uno dei quali sarà indicato come ad) e uno dai lavoratori. Il cda eleggerà al proprio interno il vertice del cda, vale a dire il presidente.
E sarà sempre il cda a nominare l'amministratore delegato sentito l'azionista. Per quanto riguarda la revoca dei membri del cda sarà proposta dall'assemblea, ma acquista efficacia solo con una conformità di parere della commissione di vigilanza.L'ad rispetto al direttore generale di oggi potrà decidere su spese fino a 10 milioni di euro (rispetto ai 2,5 di oggi) e deciderà da solo sulle nomine dei dirigenti apicali.
Una «legge Gasparri 2.0 alla Renzi», attacca il movimento Cinque stelle.
Il premier Renzi nell'illustrare alla stampa il disegno di legge ha spiegato: «Nel ddl ci sono alcune piccole modifiche della governance della Rai che offriamo al dibattito parlamentare: nessuno di noi vuole mettere le mani sulla Rai, la tesi contraria cozza con la realtà. È il contrario. Se la maggioranza vuole mettere le mani sulla Rai, basta che stia ferma e si affidi alla legge Gasparri.
Nella riforma del governo relativa alla Rai diamo al futuro capo azienda qualche potere e qualche responsabilità in più. Anche la Rai deve essere liberata dal dibattito frustrante tra singole forze politiche. La Commissione parlamentare di vigilanza è mantenuta per controllare. Se la riforma non verrà approvata in tempo, il Cda della Rai verrà nominato con la legge Gasparri. Per la prima volta con la riforma della Rai diamo la possibilità ai dipendenti di indicare uno dei sette membri del cda, che sarà votato dai lavoratori in assemblea. È un modello che mi piace moltissimo ma che per la prima volta si attua nella pubblica amministrazione in Italia».
Da più parti si sono già alzate voci critiche, che sottolineano, fra l'altro, che l'uscita dei partiti dalla gestione del servizio pubblico radiotelevisivo non viene garantita dal nuovo sistema disegnato dal governo, che affida in ogni caso la scelta alla maggioranza parlamentare e allo stesso esecutivo.
«Nessuna discontinuità. Non c'è la rivoluzione che noi auspichiamo. Ci aspettavamo finalmente la rottamazione della legge Gasparri, insieme al controllo sulla Rai dei partiti e dei governi. Su questo si era impegnato il presidente del Consiglio de ministri. Ma la soluzione annunciata non va affatto in questa direzione», affermano in una nota congiunta il sindacato nazionale dei giornalisti Fnsi (Feeerazione della stampa) e quello aziendale della Rai Usigrai.
«Lo ammette lo stesso Renzi quando parla di "piccole modifiche". Unica novità il componente del CdA eletto dai dipendenti. Ma è evidente che non basta. Ora il testo passa all'esame del Parlamento, dove ci auguriamo che il dibattito sia aperto. Chiediamo alle istituzioni coraggio per allontanare davvero i partiti e i governi dalla gestione del servizio pubblico. Leggeremo con attenzione il disegno di legge, anche nella parte della delega sulla riforma del canone. Di sicuro l'eventuale passaggio nella fiscalità generale determinerebbe l'asservimento della Rai servizio pubblico anno per anno al governo e alla maggioranza di turno».
Il premier sul canone aveva precisato: «Abbiamo riflettuto sulla possibilità di eliminare il canone, ma è una cosa molto difficile. Il governo successivamente elaborerà una scelta e poi farà una proposta. Nel ddl sulla Rai approvato oggi infatti c'è una delega a sciogliere questo nodo, vogliamo far sì che non ci sia un'evasione per cui cittadini onesti lo pagano e altri rifiutano di farlo».
Nel documento del consiglio dei ministri l'attacco alla legge Gasparri: «La Rai non è una municipalizzata di provincia, non può sottostare a procedure cavillose o avere l'incubo della Corte dei Conti" e "deve gareggiare con i grandi network a livello mondiale", "la Legge Gasparri va nella direzione opposta, condannandola a subire spaccature e rissosità del Parlamento". Poi si legge che "c'è l'urgenza di razionalizzare il patrimonio immobiliare della Rai, anche con una ridefinizione della presenza delle sedi territoriali».
Duro il movimento Cinque stelle: Questo disegno di legge non ci piace. Non cambia sostanzialmente nulla della legge Gasparri. Anzi, peggiora di gran lunga la situazione», dice al Corriere della Sera Roberto Fico, deputato e presidente della Commissione di Vigilanza Rai, definendo la riforma annunciata ieri dal governo «la Gasparri 2.0 alla Renzi».
«La riforma - spiega - prevede che due membri del cda siano di nomina governativa: tra loro c'è l'amministratore delegato, con poteri pieni. Poi ci sono quattro membri eletti da Camera e Senato, con voto limitato. Significa che ogni parlamentare può mettere un solo nominativo. Ma non essendo prevista una maggioranza qualificata, i partiti che sostengono il governo possono fare l'en plein e prendere tutti i consiglieri. Quindi se la maggioranza alla Camera si mette d'accordo su due nomi - e cioè una parte vota uno, l'altra un altro - i due membri sono entrambi espressione della maggioranza. Questo fa sì che il governo abbia il controllo del cda.
Renzi vuole liberare la Rai dai partiti? Sono slogan. È un'affermazione del tutto falsa. Non solo i partiti continuano ad avere il controllo, ma ce l'hanno i partiti di governo e l'esecutivo". Quanto al dialogo col Pd Fico dice di "continuare ad averlo con i colleghi della maggioranza e in Vigilanza. Ma è chiaro che noi saremo completamente all'opposizione di questa riforma scellerata. Proponiamo una maggioranza qualificata dei due terzi per l'elezione dei consiglieri di amministrazione. E poi sono fondamentali i requisiti in positivo e in negativo».