Piketty: basta parole, ora azioni contro l'austerità
Per affrontare seriamente diseguaglianza e sofferenza sociale, superando le ricette dell'«austerity», è necessario ridurre il deficit di democrazia e di trasparenza che caratterizza i processi decisionali politici e il sistema economico. Il noto studioso francese Thomas Piketty risponde con passione e mette a fuoco alcuni snodi primari di una crisi che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Per affrontare seriamente diseguaglianza e sofferenza sociale, superando le ricette dell'«austerity», è necessario ridurre il deficit di democrazia e di trasparenza che caratterizza i processi decisionali politici e il sistema economico. Il noto studioso francese Thomas Piketty, incontrando la stampa al Grand Hotel prima di salire sul palco dell'Auditorium (sabato alle 18.30), risponde con passione e mette a fuoco alcuni snodi primari di una crisi che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Una tendenza che ci fa precipitare verso condizioni ottocentesche in fatto di stratificazione sociale. Forte della mole di dati empirici che ha analizzato e poi si sintetizzato nei suoi volumi (a cominciare dal celebre «Il capitale nel XXI secolo», edito in Italia da Bompiani nel 2014), l'economista francese ha ribadito che per invertire questa tendenza alla diseguaglianza sociale sono necessarie scelte politiche concrete, non basta esibirsi continuamente in proclami di principio.
«Governanti come Manuel Valls o Matteo Renzi, che si dicono contrari alle politiche di austerity seguite da anni nella Ue, devono passare dalle parole ai fatti. Se ci credono veramente, devono pretendere una svolta nell'Unione europea. Parlarne soltanto non dà risultati concreti», ha insistito Piketty, precisando che spesso si fa confusione evocando le «riforme»: si tratta di fare quelle giuste. E uno dei terreni obbligati sui quali agire è il fisco: sia per armonizzarne l'impianto in chiave antispeculativa verso le rendite finanziarie, sia per tassare meglio i grandi patrimoni che spesso ne sono il risultato.
Una prospettiva nella quale si inseriscono la ristrutturazione del debito pubblico, l'abbandono del rigido rigorismo impostosi nella Ue e il ritorno a politiche espansive già viste in passato, con risultati positivi in termini di diffusione del benessere sociale.
«Alla fine della Seconda guerra mondiale, la Germania e la Francia avevano accumulato un enorme debito pubblico, qualcosa come il 200% del Pil: scelsero semplicemente di non pagarlo, d'accordo con i governi Alleati, e di adottare politiche inflazionistiche. È surreale che oggi quegli stessi Paesi pretendano dalla Grecia il pagamento fino all'ultimo centesimo, perpetuandone le sofferenze sociali. In Italia, per esempio, dove già si pagano più tasse di quanto ritorni al popolo in termini di spesa pubblica, oggi si spende il 5 per cento del Pil per il debito, mentre al sistema universitario va appena l'uno per cento. Le risorse vanno orientate con più coraggio verso investimenti utili alla crescita economica e alla redistribuzione del reddito».
Perseguire concretamente questi obiettivi «rivoluzionari», di là dagli slogan elettorali, significa anche porsi il problema dell'accesso e della partecipazione popolare alla conoscenza dei meccanismi economici e politici.
In altri termini, insiste Piketty, solo istituzioni europee ispirate a una reale rappresentanza democratica saranno in grado di avviare una stagione di trasformazioni profonde nel senso dell'uguaglianza: «Tutto ciò sarà possibile quando un paese, mettiamo la Germania, potrà accettare di finire in minoranza in un voto parlamentare a Strasburgo, per esempio sulle politiche di bilancio: la mia impresisone, infatti, è che se le decisioni spettassero alla maggioranza dei cittadini, l'austerity potrebbe essere rapidamente accantonata».
A proposito del ruolo delle opinioni pubbliche, l'esperto parigino ha accennato anche alle difficoltà incontrate dai cittadini ad accedere alla conoscenza, per poter partecipare in modo informato alle dinamiche della democrazia.
In proposito, sollecitato da una domanda, l'economista francese ha espresso il suo giudizio negativo sul nascente Partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip), sostenuto con entusiasmo, fra gli altri, dal premier italiano Matteo Renzi. Così come si prefigura al momento, spiega Piketty, il progetto di un'area di libero scambio fra Stati Uniti e Unione europea presenta gravi criticità, «sia per l'opacità che avvolge la trattativa in corso fra i governi (con le opinioni pubbliche scarsamente informate), sia per i contenuti del Trattato, che trasferirebbero troppo potere alle imprese multinazionali ai danni della sovranità delle istituzioni democraticamente elette».
E se oggi sono quasi esclusivamente alcuni movimenti di base a denunciare il rischio che il Ttip peggiori le normative europee a tutela di lavoratori, consumatori e ambiente naturale, Piketty conferma che il contributo della partecipazione politica popolare è essenziale anche in questa materia, come più in generale per la ripresa di un processo di riequilibrio delle diseguaglianze sociali.
Si ritorna, dunque, in un'epoca di allarmante disaffezione anche elettorale, all'esigenza primaria di riattivare i circuiti della democrazia sostanziale per fermare le manovre dilatorie e introdurre finalmente i corretttivi economici necessari a riequilibrare i rapporti fra chi ha troppo e chi troppo poco nelle nostre società occidentali.
La medesima esortazione dell'autorevole professore francese era risuonata sei mesi fa anche a Montecitorio, in un incontro promosso dal suo collega accademico e ora deputato Pd Stefano Fassina, severo fustigatore delle politiche economiche «liberiste» del governo Renzi. Il tempo passa e le svolte anti-austerity e redistributive tardano.
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