La Ue litiga, più a rischio la libera circolazione Ipotesi sospensione di Schengen per due anni
Schengen è in bilico, mentre l'Europa si prepara al peggio. «È salvo per ora», dice il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Ma «sta per saltare», mette in guardia il suo omologo austriaco Johanna Mickl-Leitner.
Dopo la riunione informale ad Amsterdam dei ministri dell'interno, ieri, lunedì, si è rafforzata l'ipotesi che si possa arrivare in primavera a una sospensione per ben due anni della libera circolazione delle persone attraverso le frontiere interne dell'Europa, malgrado sia una prospettiva che apparentemente la gran parte dei Paesi reputa negativamente.
All'origine di quello che rappresenta un grave passo indietro nel processo di integrazione europea, c'è la crisi dei profughi dovuta allo scenario drammatico della Siria in guerra, della Libia (dove il parlamento giusto ieri ha respinto la presunta intesa su un governo unitario), dell'Iraq sempre sottoposto a minacce terroristiche di matrice islamista e di varie lotte intestine.
Con la decisione di alcuni Paesi dell'Est e della stessa Austria di costruire barriere fisiche per impedire il passaggio di profughi, sembra farsi quasi ineluttabile la prospettiva che la rotta della disperazione si sposti verso ovest, cioè verso l'Italia, sia per via terrestre sia attraverso il mare Adriatico. Per questo il governo di Roma ha già annunciato il progetto per realizzare nel Nordest e quindi anche in Trentino Alto Adige (presumibilmente al Brennero) degli hot-spot di prima accoglienza, identificazione, ricollocazione sulla base delle quote Ue per i profughi e eventuale avvio dell'iter di rimpatrio per chi viene considerato un migrante economico.
I controlli ripristinati alle frontiere avvengono in forme variabili a seconda dei Paesi e dei punti di confine: sono presidiati quelli più «caldi» sia per l'attraversamento a piedi sia per quanto riguarda i mezzi pubblici, specie la ferrovia. Meno interessato, in linea generale, è il traffico automobilistico.
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«Dobbiamo fare del nostro meglio per salvaguardare la più grande conquista dell'integrazione europea», avverte il commissario Ue all'Immigrazione Dimitris Avramopoulos, che prova a stemperare le tensioni spiegando di aver riscontrato una forte volontà degli Stati a lavorare per attuare tutte le misure già varate per rafforzare le frontiere esterne e gestire i flussi.
Sta di fatto però che una «larga maggioranza» di Paesi, e non soltanto i sei che attualmente hanno ripristinato i controlli (Austria, Germania, Svezia, Norvegia, Francia, Danimarca), ha «invitato la Commissione a preparare le procedure per l'attivazione dell'articolo 26 nell'ambito del codice Schengen», come spiega il ministro olandese alla Sicurezza Klaas Dijkhof, presidente di turno del consiglio europeo. L'articolo prevede la possibilità per uno o più Stati membri di estendere i controlli alle frontiere interne fino a due anni: una misura che di fatto scardina la filosofia su cui è nata l'area di libera circolazione.
La regola era stata inserita nel Codice Schengen nel 2013, dopo le Primavere arabe e le frizioni Berlusconi-Sarkozy, quando Parigi voleva bloccare il flusso di migranti a Ventimiglia. Ma l'articolo 26 rischia di essere usato per la prima volta a maggio, quando Germania e Austria saranno i primi due Paesi ad aver esaurito il tempo messo a disposizione dalle norme ordinarie, il 24 e 25, utilizzate fino ad oggi.
L'ipotesi di farvi ricorso era già stata paventata a dicembre, come strumento di pressione nei confronti della Grecia, assieme ad un'altra ipotesi, quella di creare una mini-Schengen. Le minacce erano poi rientrate, quando Atene aveva accettato le forze di intervento rapido Frontex.
Ed è la gestione greca ad essere ancora una volta nel mirino.
La penisola ellenica ora teme di restare isolata. I tecnici della Commissione Ue hanno già effettuato uno stress test alle sue frontiere e la valutazione definitiva planerà sul tavolo del summit dei leader di febbraio. Ma Atene, messa ancora una volta sul banco degli imputati dai Paesi del nord, in particolare la Germania - «eserciteremo pressione affinché faccia i suoi compiti» - prova a difendersi. Il ministro alle Politiche migratorie greco Yoannis Mouzalas invoca la piena attuazione delle misure europee e chiede uno stop «all'ingiusto gioco di accuse».
Carenze e ritardi, spiega, non sono sempre imputabili al suo governo, ed elenca una lunga lista di quello che a suo avviso sono «bugie e verità».
«Non è vero che non vogliamo Frontex. Vogliamo più forze di quante ne siano arrivate» sottolinea e mette in guardia rispetto alla proposta del premier sloveno Miroslav Cerar: le forze Frontex alla frontiera macedone sarebbero «un atto unilaterale e illegale, perché non è membro dell'Unione». Ma «il Consiglio Ue - spiega la presidenza olandese - ha dato un chiaro segnale alla Commissione di esplorare la possibilità nel quadro giuridico esistente per essere più flessibili e pragmatici possibile, in modo da riprendere il controllo nell'area».
E anche il presidente della Commissione Ue, Juncker, nella sua risposta alla lettera di Cerar, appare possibilista.
Il ministro dell'Interno francese Cazeneuve, intanto, rilancia sulla necessità di controlli ferrei alle frontiere esterne e sul patto con Berlino, dove sarà la prossima settimana.
Il capo del Viminale, Angelino Alfano, in un'intervista all'Huffington Post aveva spiegato la posizione italiana: «Siamo contrari a passi indietro rispetto a Schengen, perché sarebbe un affossamento delle libertà faticosamente conquistate in decenni di integrazione", e ribadisce il suo "sì ad un ferreo controllo delle frontiere esterne dell'Unione". Sulla partita dei tre miliardi per i rifugiati in Turchia, spiega: "occorre difendere l'interesse nazionale senza arrivare al punto di rottura con l'Europa. Non esiste un no ideologico. C'è la semplice ma chiara esigenza di capirne le modalità e l'esclusione dal patto di stabilità. Detto questo, un attacco indiscriminato a Bruxelles è da evitare».
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