Unioni civili, primo voto Ok Ma nel Pd ora è battaglia
Le unioni civili superano a maggioranza schiacciante il primo scoglio in aula, quello della richiesta del non passaggio all'esame del testo. Richiesta che Palazzo Madama respinge, a voto palese, con il «no» di 195 senatori, e forte di un asse inedito formato da Pd, M5s, Sel e Ala. Numeri che, tuttavia, non inducono i dem di Matteo Renzi ad accelerare sull'approvazione della legge (si tornerà a votare martedì prossimo) anche perché nel partito si produce un nuovo, acceso scontro tra l'ala laica e i Cattodem, con la libertà di coscienza come novello pomo della discordia.
Allo scontro nel Pd fa però da contraltare il voto contrario dell'aula alla richiesta di non passaggio all'esame degli articoli (in sostanza uno stop dell'iter) avanzata dal leghista Roberto Calderoli e respinta con 195 voti contrari, 101 favorevoli e un solo astenuto. Compatto, nonostante le tensioni, il voto del Pd mentre si delinea una maggioranza inedita formata dal M5s, dai verdiniani (solo Giuseppe Ruvolo in dissenso) e da Sel.
Sulla sponda opposta, compatto anche il voto favorevole al non esame di Ap (con i voti in dissenso di Bonaiuti e Margiotta e tre non votanti) mentre in Fi sono 4 le assenze «non giustificate» e uno, quello di Anna Maria Bernini, il voto in dissenso.
Sul primo test, inoltre, si registra un'ulteriore novità: il «niet» di Pietro Grasso alla richiesta di scrutinio segreto. Una decisione che il presidente del Senato motiva spiegando, di fatto, che il ddl fa riferimento all'art. 2 della Costituzione e non intacca, quindi, i diritti sul matrimonio e la famiglia disciplinati dagli articoli 29, 30 e 31 della Carta. Quella che Grasso fornisce è insomma una prima linea sull'ammissibilità dei voti segreti: i voti ci saranno ma, stando alla spiegazione del presidente del Senato, difficilmente potranno essere numerosi.
E, non a caso, la decisione di Grasso innesca in aula l'ira di Calderoli, Quagliariello e Giovanardi che parlano di «scelta politica» e non conforme al suo ruolo di «arbitro».
Sul fronte Pd, a scatenare l'ira dei Cattodem è la proposta di Luigi Zanda di limitare i voti di coscienza a 3 emendamenti: quello pro-affido di Stefano Lepri, quello sulla piena adozione gay di Cecilia Guerra e quello all'art.22 di Donella Mattesini. Una scelta che Zanda sottolinea essere modificabile ma che, raccontano, già in un ufficio di presidenza fa andare su tutte le furie Lepri, portando al rischio, poi rientrato, di una clamorosa diserzione dei Cattodem alla riunione.
Riunione nella quale, poi, Lepri chiede apertamente che i voti secondo coscienza siano nove. Alla fine l'assemblea non delibera ma si limita a prendere atto della proposta Zanda, con la possibilità che alla fine si ammetta il voto di coscienza su altri due emendamenti Cattodem, quello a prima firma Collina all'art.3 sui diritti e doveri delle unioni civili e quello Dalla Zuanna sull'estensione del reato di maternità surrogata.
Martedì, con l'inizio delle votazioni - sul quale ieri Andrea Orlando confermava che il governo si rimetterà all'aula - le carte saranno finalmente scoperte e la prima a essere messa sul tavolo, dopo il nulla di fatto del patto Pd-Lega sul taglio agli emendamenti, potrebbe essere quella del «canguro» a prima firma Marcucci, che affonda diversi emendamenti del centrodestra, nonché quello sull'affido dei Cattodem «salvando» l'impianto del ddl.
È un'arma che, al momento, il Pd si riserva di usare nel caso in cui frani ogni altro tentativo di trattativa. Un'ultima carta che ha però l'effetto collaterale di scatenare la trincea di Ap, al momento contraria anche a qualsiasi soluzione di mediazione sulla stepchild adoption. E i centristi avvertono come le chiusure del Pd aprano un solco tra i due partiti di governo.