Referendum, dietrofront di Renzi «Se perdo non mi dimetterò»

«Si vota nel 2018». Comunque vada il referendum?». «Sì, si vota nel 2018».

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, ieri sera al Cafè della Versiliana incalzato dalle domande di Paolo Del Debbio, lo ha detto con chiarezza. Anche se fonti della maggioranza danno una lettura meno immediata delle sue parole spiegando che il premier intendeva dire che si voterà nel 2018 perchè assolutamente convinto che il sì passerà. In caso di vittoria la linea non cambierebbe.

Dopo un lungo prologo sulla Ue e sul ruolo dell’Italia nell’Unione europea, Renzi è tornato sul tema del referendum costituzionale e ha infatti confermato la linea: «Tutti mi chiedono cosa faccio se vince il no. Ma bisogna uscire da questa cultura.. Se vince il no quello che faccio l’ho già detto.

Questo referendum è molto semplice ma per colpa anche mia è diventato un dibattito su tutto. In realtà, la domanda sulla scheda è: volete approvare la riforma costituzionale che prevede una riduzione dei costi della politica, che supera il meccanismo del ping-pong tra Camera e Senato? Chi vota no si tiene il Paese così com’è. Lo voglio dire chiaro, la democrazia non è sotto assedio».

Renzi è tornato a distribuire fendenti nei confronti della minoranza Pd. «Se D’Alema avesse messo un decimo del tempo che ha messo per attaccare me per attaccare Berlusconi... Lui pesca sempre la carta di attaccare quello più vicino, prima è toccato a Prodi. E la riforma di D’Alema era molto più dura, il governo aveva molti più poteri. Se D’Alema vuole fare la battaglia per difendere le poltrone e magari tornare in Parlamento, auguri. A D’Alema e agli altri della minoranza Pd dico non si utilizzi il referendum per avere la rivincita al congresso perché sarebbe poco serio, il congresso lo faremo quando previsto».

In tema di economia, Renzi ha ammesso che «non va benissimo.
È ripartito il mercato del lavoro. Ma l’economia non è ripartita come vorremmo».

Il premier, che oggi festeggia i due anni e mezzo di governo (si insediò il 22 febbraio 2014), ha però aggiunto che ci vuole un po’ di tempo: «Spero di arrivare a fine anno a uno, uno e due di Pil. Ma bisogna far ripartire gli investimenti: è questione di fiducia».

Ma su referendum e sulla politica economica la minoranza dem contrattacca: avanti così e la «frattura sarà irreparabile».

Il dialogo tra sordi all’interno del Pd su referendum e legge elettorale fa scattare l’allarme nel partito.

E anche chi ha già annunciato il suo sì alla consultazione di novembre, come il sindaco di Bologna Virginio Merola, ha deciso di indossare i panni del mediatore e andare in pressing su Renzi per convincerlo ad ammorbidire il suo approccio nei confronti della sinistra e a fare qualche concessione.

Giunge ad evocare il rischio di una rottura insanabile, di una scissione, il sindaco Merola consapevole quanto il momento sia grave per il partito.

Non si intravedono vie di uscita, è muro contro muro nel Pd e in questa estate rovente si moltiplicano i mediatori.

Errani e poi Merola che entra nel merito e si unisce a quanti invocano la modifica dell’Italicum per «renderlo più democratico».

Ma dal fronte renziano la porta resta chiusa, almeno fino al pronunciamento della Consulta (il 4 ottobre), poi eventualmente la parola passerà alle Camere. Dal ministro Graziano Delrio è giunto quindi un nuovo stop sull’Italicum: la legge elettorale non si tocca - ha avvisato - aspettiamo la Consulta e poi il Parlamento deciderà. Con l’occasione Delrio ha fatto chiarezza sul caso Anpi: ha ribadito che alle feste dell’Unità c’è spazio per tutti, «anche per le ragioni del no», ma «non si può immaginare di avviare dei banchetti o aprire degli stand per la propaganda del no».

Anche dalla minoranza Pd non si registrano cedimenti: il referendum e l’italicum sono inscindibili, ha insistito Roberto Speranza, pronto anche allo strappo: «Se si votasse domani non sarei in condizione di votare sì al referendum».

Non solo riforme però. Alla vigilia del vertice di Ventotene e in vista della manovra d’autunno la sinistra ha alzato l’asticella aprendo nuovi fronti di battaglia.

«Inseguire ancora la riduzione fiscale rischia di essere un errore per la ripresa: bisogna puntare sugli investimenti, unica leva che può attivare crescita e lavoro», ha scandito Speranza. Una sortita che ha fatto sobbalzare Renzi: «Mi dicono, e alcuni anche dal mio partito, che non bisogna ridurre le tasse...io mi metto le mani nei capelli!», è stata la reazione del premier dalla versiliana.

Quanto all’Europa, per Speranza «bisogna cambiare rotta con »coraggio« e determinazione. »Ci vorrebbe - ha detto - uno scatto, un’Europa in cui chi è convinto ceda subito sovranità e condivida le responsabilità e Da Renzi mi aspetterei una mossa su questo terreno«.

Nell’agone referendario anche Massimo D’Alema che non ha mai nascosto le sue perplessità sulla riforma e che ora farà da catalizzatore di quanti, politici e non (e soprattutto nella società civile) intendono mettere a frutto il loro No alla consultazione.

L’ex premier ha fissato una riunione politico-organizzativa a Roma per il 5 settembre prossimo.

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