«Il quesito uno spot per il sì» Referendum, ricorso al Tar
M5S e Sinistra italiana chiedono di indicare anche i numeri dei 41 articoli modificati. Il governo: tutto legittimo, è il titolo della riforma
Lo scontro sul quesito del referendum tra i fronti avversi finisce davanti al Tar. M5S e Sinistra Italiana fanno ricorso al Tar del Lazio denunciando che il testo è uno «spot pubblicitario» ingannevole e non conforme ai quesiti di legge.
In sostanza i ricorrenti chiedono che nella scheda, oltre al titolo del provvedimento che indica genericamente alcune delle modifiche apportate alla costituzione, chiedono che sulla scheda siano elencati gli oltrre 40 articoli della Carta che vengono cambiati dalla riforma Renzi-Boschi.
Il testo del quesito recita invece: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente "disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione", approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?».
L'esposto fa reagire il Quirinale (chiamato in causa dai ricorrenti) che precisa come la scheda sia stata ammessa dalla Cassazione e non dal Colle.
«Nessun genio del male, è il testo della riforma su cui entrambi i fronti hanno già raccolto le firme», ribatte Matteo Renzi che incassa da Roberto Benigni uno spot per il sì mentre Beppe Grillo cita il duro editoriale del Financial Times contro il ddl Boschi («la riforma è un ponte verso il nulla») per denunciare l'esecutivo di «bluffisti e giocatori d'azzardo».
Oltre al Codacons, dunque, anche i partiti di opposizione provano per via giudiziaria a correggere il quesito. Gli avvocati Enzo Palumbo e Giuseppe Bozzi, impegnati anche nella difesa dei ricorrenti messinesi alla Consulta nel giudizio per l'incostituzionalità dell'Italicum, sostengono per conto di M5S e Si la mancata indicazione «degli articoli» revisionati e definisce «improprio» il riferimento al contenimento dei costi della politica.
L'esposto mette all'indice il decreto della Presidenza della Repubblica che ha indetto il referendum ma, chiariscono subito ambienti del Quirinale, la formulazione del quesito «è stata valutata e ammessa, con proprio provvedimento, dalla Corte di Cassazione» in base a quanto previsto dall'art 12 della legge 352 del 1970, e riproduce «il titolo della legge quale approvato dal Parlamento».
La Cassazione, che ha accolto il quesito ammettendo il referendum, non interviene mentre i due fronti politici si scatenano.
«Non si può avere paura della verità, è la Cassazione che ammette il quesito, non il governo», contrattacca Boschi nel salotto di «Porta a Porta» insieme a Stefano Parisi che, pur ammettendo che il Quirinale non c'entra nulla, sottolinea come «le frasi inducono a votare il sì».
Solo una «cortina fumogena» dei sostenitori del No per nascondere la posta in gioco è la tesi della maggioranza, «un modo per lanciare solo slogan e non entrare nel merito», si lamenta il premier. Che ieri ha fatto campagna per il sì nel tour in Veneto facendo un appello ai cittadini a non «lasciarmi solo se volete cambiare il paese». E non risparmiando frecciate alla minoranza che è tale «perché non vuole prendere i voti a destra», bacino su cui invece Renzi batte per convincere gli elettori azzurri e leghisti sul referendum.
Ma le carte bollate non finiscono al testo del referendum.
M5S presenta un esposto in Procura ipotizzando il reato di manipolazione del mercato contro il presidente del consiglio per le affermazioni a favore del Ponte sullo stretto. E rischia di diventare un tormentone della campagna referendaria la par condicio televisiva. Il presidente della Vigilanza
Roberto Fico torna all'attacco dell'Agcom che «nonostante le gravi disparità fra Sì e No in tv, non ha messo in atto alcun intervento forte».
Se la tv fa sicuramente la differenza per la campagna, meno quantificabili in termini di consensi sono gli endorsement di vip o della stampa straniera. La stroncatura di Ft fa gongolare Beppe Grillo. «Non ho dubbi, vincerà il No, leggete il Financial times e vedete chi vince», assicura il leader M5S.
Mentre la maggioranza può rallegrarsi per l'appoggio incondizionato di Roberto Benigni alla riforma. Nel caso dovesse passare il no al referendum costituzionale, afferma il premio Oscar, «sarebbe peggio della Brexit», per questo «è indispensabile che vinca il sì». «Anche Benigni tiene famiglia», commenta acido Renato Brunetta.