Istanbul, rivendicazione Isis Il killer forse un asiatico
C'è la firma dell'Isis sulla strage di Capodanno a Istanbul. Con un comunicato diffuso per la prima volta in turco, oltre che in arabo, il sedicente Stato islamico ha rivendicato a poco più di 24 ore di distanza l'attacco al nightclub «Reina», in cui sono rimaste uccise 39 persone, tra cui almeno 25 stranieri.
Una punizione contro la Turchia «serva della croce» da parte di «un soldato eroico del Califfato», che «ha colpito uno dei più famosi nightclub dove i cristiani celebrano la loro festività apostata», agendo «in risposta agli ordini» del suo leader, Abu Bakr al-Baghdadi.
Un'assunzione di responsabilità inedita per l'Isis contro la Turchia, pur oggetto di diverse minacce negli ultimi mesi. Ma gli interrogativi ancora aperti restano tanti.
Le risposte potrebbero arrivare dalla cattura del killer in fuga, verso cui prosegue senza sosta una caccia all'uomo condotta da migliaia di agenti in tutto il Paese.
Ora dopo ora, il profilo dell'attentatore appare sempre più chiaro. Le autorità si dicono vicine alla sua identificazione, grazie alle impronte digitali raccolte sul luogo dell'attacco e a un identikit ( nella foto ) definito anche con le immagini tratte dalle telecamere di sorveglianza, che lo mostrano con un giubbotto nero e senza barba, diversamente da alcuni falsi fotogrammi circolati nella giornata di domenica.
Gli elementi raccolti finora, compresi i tratti somatici, porterebbero a un uomo di circa 25 anni, originario dell'Asia centrale: il killer potrebbe provenire dall'Uzbekistan o dal Kirghizistan, ma è forte anche l'ipotesi per cui sarebbe un membro della minoranza turcofona e musulmana degli uiguri, che popola la regione nordoccidentale cinese dello Xinjiang.
La pista asiatica, ipotizzano gli inquirenti, potrebbe condurre alla stessa cellula che a fine giugno ha compiuto la strage all'aeroporto Ataturk, sempre a Istanbul. Persino la mente potrebbe essere la stessa: il jihadista ceceno super-ricercato Ahmed Chatayev.
Di certo, suggeriscono gli esperti di sicurezza turchi, il killer era ben addestrato e ha agito a sangue freddo, cambiando 6 caricatori e scaricando oltre 180 colpi della sua arma a canna lunga per circa 7 minuti. Poi si sarebbe nascosto nelle cucine del locale per spogliarsi degli abiti usati durante l'assalto e confondersi nel caos della folla in fuga, allontanandosi su un taxi di passaggio. In una tasca del suo giaccone, abbandonato sul luogo dell'attacco, gli inquirenti hanno trovato circa 500 lire turche.
Il cerchio attorno all'attentatore in fuga continua a restringersi. Le unità antiterrorismo della polizia di Istanbul hanno fermato ieri otto presunti complici, senza chiarire quale sarebbe stato il loro ruolo nella strage. Un blitz che giunge dopo quelli già condotti nei giorni scorsi, con decine di arresti in tutta la Turchia, grazie alle soffiate della intelligence su attacchi in preparazione da parte dell'Isis proprio a Capodanno.
Nel frattempo, le autorità di Ankara insistono con i raid aerei e terrestri contro obiettivi del Califfato nel nord della Siria, dove si continua a preparare la delicata operazione contro la sua roccaforte di al Bab. Nelle ultime 48 ore, secondo i responsabili delle forze armate, sono stati colpiti un centinaio di obiettivi e uccisi almeno 22 jihadisti.
Per il vicepremier Numan Kurtulmus, la strage del «Reina» è una risposta al martellamento turco contro il Califfato. Una tesi che sembra trovare sostegno nella stessa rivendicazione dell'attacco, in cui si sottolinea che «il governo di Ankara dovrebbe sapere che il sangue dei musulmani, uccisi dai suoi aerei e dalla sua artiglieria, provocherà un fuoco nella sua casa per volere di Dio».
Sono intato ancora sotto shock i cinque italiani scampati alla strage. Nell'affascinante locale sul Bosforo, al momento dell'attentato, c'erano tre modenesi, un palermitano e una ragazza di Brescia, quest'ultima ferita leggermente al volto. Drammatico il loro racconto: «Abbiamo visto il terrorista entrare e sparare addosso alla gente, è stato terribile. Scene impossibili da dimenticare, orribili. Ci siamo salvati buttandoci a terra».