Come si cambia in 5 anni: Lega da paura, Upt crollato

Confronti con il 2013: il Pd perde 17 mila voti e Futura ne prende 17 mila. Olivi resta mister preferenze, ma passa da 13.700 a 5.200

di Matteo Lunelli

Quante cose cambiano in cinque anni. Anche e soprattutto in politica. Da lunedì 28 ottobre 2013 a oggi, 22 ottobre 2013, è cambiato tutto. Cinque anni fa si sanciva il trionfo di Ugo Rossi: con il 58,12%, per un totale di 144.609 voti, il centrosinistra autonomista stravinceva le elezioni, lasciando al 19% Diego Mosna, al 6,5% Maurizio Fugatti («Proprio lui, proprio lui», per dirla con Piccinini), al 5,7% Filippo Degasperi e al 4,2 Giacomo Bezzi. Si formava un nuovo consiglio a trazione Pd (9 consiglieri), con un Patt fortissimo (il presidente Rossi più 7 consiglieri) e un Upt pronto a fare la propria parte (5 consiglieri). La Lega aveva solo due rappresentanti, in realtà uno (Fugatti), visto che Civettini cambiò ben presto casacca. A proposito di cambi (ma anche rinunce o tragiche notizie), in quel consiglio furono parecchi: oltre a Civettini anche Bottamedi, Kaswalder, Moltrer e Mosna. 
 
Oggi i numeri dicono che da allora è cambiato tutto o quasi. Il centrodestra a trazione leghista ha vinto con 124.590 voti, ventimila in meno rispetto al centrosinistra di cinque anni fa. Centrosinistra che di fatto (sommando i voti di Tonini e Rossi si arriva a 100.000) ha perso 44 mila voti. Chi li ha persi? Prima di tutto il Pd: nel 2013 fu un trionfo con il 22% e 52.500 voti (furono 59 mila nelle provinciali 2008). Ieri i voti sono stati 35.500, ovvero 17 mila in meno. Futura ha preso 17 mila voti. Coincidenze? Senza Futura (la vera sorpresa delle elezioni, considerato che si tratta di un movimento nato praticamente dal nulla quattro mesi fa) quei 17 mila voti sarebbero rimasti al Pd o comunque nell'area del centrosinistra? Probabilmente no. Almeno non tutti.  
 
Il Patt, in fin dei conti, il suo lo ha fatto: nel 2013 prese 41,6 mila voti, ieri 32 mila. Circa 10.000 voti persi, ma si fa presto a capire dove siano andati: Autonomia Dinamica degli ex Civettini, Ottobre e Dominici ne ha presi 5.000 e Autonomisti Popolari degli ex Kaswalder e Chilovi ne ha presi 7.000.
 
Infine l'Upt e qui spunta il dato più rilevante: dai 31.650 voti di cinque anni fa ai 10.150. Ventimila voti di differenza, da 5 consiglieri a 1 solo (con Tonina che ha fiutato l'aria e, candidatosi con il centrodestra è stato eletto in Progetto Trentino), da un ruolo di primo piano a uno da comprimari.  
 
Piuttosto clamorosi, restando tra gli sconfitti, sono anche i dati dei singoli. L'ex vicepresidente Olivi, pur rieletto, è passato da essere il preferito dei trentini, con il record di 13.647 preferenze, a essere un «normale» consigliere d'opposizione, restando comunque il più votato di tutti i partiti con 5.200 preferenze. Gli ex assessori Luca Zeni e Sara Ferrari sono stati confermati perdendo, in realtà, relativamente poco: da 4.600 a 3.400 lei, da 4.200 a 2.500 lui. Trombati, tra gli altri, Lucia Maestri, Walter Viola (passato da Progetto Trentino al Patt), Gianpiero Passamani, Manuela Bottamedi (1.300 voti ed elezione con i 5 Stelli, 200 voti e a casa con Forza Italia), Giacomo Bezzi. Ma c'è tempo per rifarsi. Basti pensare a Giorgio Leonardi, bocciato dalle urne cinque anni fa e oggi eletto: giochi delle coalizioni, visto che nel 2013 uscì con 2.053 voti mentre oggi entra con 948. A proposito di Forza Italia, il partito resta in caduta libera: dai pochi voti della scorsa legislatura, 10.493 con il 4% ai soli 7.200 (2,8% e un grande grazie alla Lega per l'elezione di un consigliere). 
 
Dai vinti ai vincitori, anzi ai trionfatori. Trombati cinque anni fa, oggi Zanotelli, Paccher, Segnana, Job, Dalzocchio, Ambrosi e Moranduzzo sono tutti consiglieri provinciali (questi dati sono ancora provvisori, potrebbe entrare anche Savoi, o uscire qualcuno). Il top in casa Lega è Bisesti con 3.500 preferenze. Lega che prende da sola 70 mila voti (ovvero più della somma di Pd e Patt, secondo e terzo partito e più della somma degli 8 partiti alleati: aspetto, quest'ultimo, che darà dei vantaggi nella creazione della giunta, considerato che visto il contributo i partiti non potranno avanzare grandi pretese), quintuplicando le X sulla scheda in soli cinque anni. Una Lega da montagne russe, passata da 38.500 voti nel 2008 ai 14.700 del 2013 ai 69.200 del 2018: insomma leghisti non si nasce ma si diventa. E poi si smette di esserlo ma lo si ridiventa ancora. 
 
Senza infamia né lode il Movimento 5 Stelle: la crescita numerica c'è, passando da 13.877 voti e il 5,8% a 18.437 con il 7,2%, ma l'obiettivo doppia cifra e, soprattutto, di avere un ruolo centrale in consiglio è rinviato. Perdono 13 voti i Fratelli d'Italia, da 3.699 del 2013 a 3.686 del 2018, mentre la Sinistra continua a correre da sola e a non prendere seggi e CasaPound si ferma alla miseria di 1.200 voti. 
 
Per quanto riguarda la composizione del consiglio le novità (e la gioventù) arrivano praticamente tutte dalla Lega: dei 13 consiglieri solo Savoi si è già seduto sui banchi di piazza Dante. Per il resto solamente prime volte (cosa che non necessariamente è positiva: starà a loro studiare e capire, perché i gazebo e il consiglio sono differenti). E anche per quanto riguarda le quote rose, l'infornata di donne (6) arriva praticamente solo dalla Lega (che non voleva quella legge). Le altre donne del consiglio saranno solamente 3, ovvero Ferrari, Coppola e Demagri. Insomma i mantra della sinistra, «giovani e donne, donne e giovani», sono in realtà una caratteristica leghista. Inoltre: polemiche e polemiche sulla legge per le quote rose (con forse un po' di voti persi dal centrosinistra?) e si è passati da 6 donne a 9 nel 2018 (con Zanotelli, Cattoi e Segnana in dubbio perché parlamentari), quindi potrebbe essere un 6-6. Tanti volti noti, invece, sia nei partiti a sostegno di Fugatti (Tonina, Cia, Borga, Kaswalder) sia nell'opposizione (Dallapiccola, Rossi, Degasperi, Zeni, Olivi, Manica, Ferrari, Coppola, Ossanna e De Godenz). Infine, ma dobbiamo attendere la composizione finale del consiglio per poterlo dire (nel frattempo corriamo il rischio di fare una gaffe e ci scusiamo anticipatamente) pare essere un (altro) consiglio ben poco «accademico», con pochi professionisti e laureati in piazza Dante. Forza del cambiamento e di una politica sempre più da bar, gazebo, slogan e social network (è una considerazione, non un giudizio necessariamente negativo). 

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