Reddito di cittadinanza, artigiani e albergatori duri «Così non va: si premiano i fannulloni»

di Angelo Conte

«Premiare e pagare le persone per non fare nulla non crea sviluppo». Gianni Battaiola, presidente degli Albergatori trentini, boccia il reddito di cittadinanza. Con toni meno perentori, ma scettici verso il nuovo meccanismo, si esprime anche Gianni Bort, presidente della Camera di commercio di Trento: «Se tutti i controlli e i passaggi previsti funzionano come indica la legge, non ci dovrebbero essere problemi di ricadute negative sul mercato del lavoro. Occorre, però, vedere se ci saranno effettivamente i controlli che vengono annunciati e se le sanzioni saranno applicate. Ma più che tali misure per rilanciare l’economia serve dare ossigeno alle imprese e non penalizzarle o avere un atteggiamento punitivo nei loro confronti».

Preoccupato per l’effetto sul mercato del lavoro si dice il presidente dell’Asat, Battaiola. «Già in precedenza avevamo subito un effetto distorsivo sul mercato del lavoro a causa della prima applicazione della Naspi. Ora con il reddito di cittadinanza, non credo che anche se i centri per l’impiego funzioneranno, uno si senta obbligato dalla Sicilia a venire a fare la stagione in Trentino» sottolinea Battaiola. In ogni caso, per l’albergatore solandro, la misura introdotta «non credo sia una maniera per creare lavoro. E poi io dico: già facciamo fatica a trovare collaboratori, con questa misura sarà ancora più difficile avere persone disposte ad assumere lavori stagionali». In passato, con una delle versioni del regolamento della Naspi, «c’erano stati molti che si licenziavano per ottenere il sostegno da parte dello Stato».

Per il presidente della Camera di commercio, Bort le conseguenze sono che se tutti i passaggi vengono rispettati «con la prima chiamata entro un certo raggio da casa e poi se funzionano i controlli, il rischio di meno persone disponibili a lavorare non c’è. Ma non so se tutti i controlli previsti ci saranno davvero, almeno sul breve periodo, anche perché occorre che funzionino i centri per l’impiego e bisogna vedere se applicano le sanzioni immediatamente a chi fa il furbetto».
Bort spiega che il provvedimento non è una panacea per rilanciare l’economia, come sostenuto da molti esponenti 5 Stelle di governo: «L’Italia ha una realtà industriale, artigianale e turistica molto buona e valida occorre ridare entusiasmo alle imprese e non penalizzarle» conclude Bort.

Boccia il reddito di cittadinanza anche Marco Segatta, presidente degli Artigiani trentini: «A livello generale mi vien da dire, commentando la misura, che è più importante il reddito da lavoro che di cittadinanza. Se l’operazione fosse stata quella di ridurre il cuneo fiscale per aumentare la paga del dipendente, avrebbe dato risultati migliori. Come Confartigianato non lo vediamo di buon occhio il reddito di cittadinanza, perché è un reddito importante e si rischia che uno dica: prendo poco di più a lavorare e a quel punto per il primo anno in cui attende che arrivi un impiego, si accontenta dell’assegno pubblico e magari arrotonda anche in nero con una concorrenza sleale per le nostre imprese».

Per Segatta, l’unica «cosa positiva è che nel primissimo momento ci sarà un aumento dei consumi, ma sarà poca cosa».
Di negativo, Segatta vede molti aspetti: «Per il mercato del lavoro potrà creare problemi, perché se la differenza tra salario del posto e reddito di cittadinanza è bassa c’è il rischio che si scelga di non lavorare», aumentando così la difficoltà per le imprese di reperire manodopera. Segatta non boccia il meccanismo di aiuto ai più poveri: «Ma bisogna evitare di aiutare i furbetti, dando invece soldi a chi ha bisogno, come ad esempio i clochard, che però dubito ne faranno richiesta».


 

CON I 10 ANNI DI RESIDENZA 1.500 ESCLUSI

Il giro di vite della Provincia sui criteri di accesso all’ex reddito di garanzia comporterà un calo di circa 1.500 persone equivalenti tra i beneficiari, quasi tutti stranieri, con alcuni trentini trasferitisi all’estero negli ultimi due anni che saranno anch’essi esclusi. Oggi i beneficiari della quota A (ex reddito di cittadinanza) dell’Assegno unico provinciale sono 10.830 con una spesa di 24,4 milioni di euro. I circa 600 nuclei che hanno accesso al Rei sono finanziati dallo Stato con 1 milione di euro.
Il risparmio con i dieci anni di residenza invece dei tre, questo il dato fornito ufficialmente dalla giunta Fugatti ieri, sarà di 3,4 milioni di euro (2.216 euro in media per 1.500 percettori esclusi).

Resta in dubbio la possibilità di aumentare di altri 10 milioni (per un totale di circa 13 milioni di euro) il risparmio per la Provincia. In dubbio, perché ciò accadrà solo se il decretone in via di conversione in Parlamento cambierà segno rispetto all’attuale impostazione. Oggi, infatti, il governo ha messo nero su bianco un meccanismo opposto a quello che vige in Trentino nel rapporto tra Rei ed ex reddito di garanzia.

L’altra questione «numerica» riguarda il rapporto tra provvidenza statale e provvidenza provinciale. Mentre oggi lo Stato eroga 1 milione di euro in Rei per i trentini e la Provincia aggiunge 24,4 milioni di euro per totalizzare l’ex reddito di garanzia (quota A del nuovo assegno unico provinciale), il rischio è ora che la legge in corso di conversione in Parlamento rovesci il rapporto: lo Stato non pagherebbe nulla fino a concorrenza di quanto eroga la Provincia.

Si tratterebbe di una forte penalizzazione per il Trentino e per questo il governo provinciale caldeggia un emendamento parlamentare che confermi la legge 2017 sul Rei e quindi la complementarietà della misura provinciale rispetto a quella statale. Se così accadesse, si calcola allora un risparmio per la Provincia di circa 13,27 milioni di euro l’anno: 3,4 derivanti dalla nuova regola sui 10 anni di residenza, gli altri dall’aumento delle somme erogate dallo Stato (com’è noto, il reddito di cittadinanza pesa molto di più del vecchio Rei).

Il governo provinciale, come detto, attraverso un emendamento al disegno di legge di variazione al bilancio in discussione in Consiglio provinciale vuole applicare il requisito dei 10 anni di residenza in Italia anche (e solo) alla quota di assegno unico provinciale ex reddito di garanzia (quota A), per la quale la normativa trentina oggi prevede il requisito dei 3 anni di residenza in provincia.
La conseguente riduzione della platea di aventi diritto – che si prevede non valga però per i nuclei familiari di soli pensionati o con almeno un soggetto senza capacità lavorativa per problematiche sociali – comporterebbe per la Provincia un minor onere di 3,4 milioni di euro circa.

Intanto da Bolzano Arno Kompatscher annuncia un possibile ricorso alla Corte costituzionale contro il reddito di cittadinanza, considerandolo un’invasione di campo rispetto alle competenze sul welfare della Provincia. Prima di fare ricorso, ha chiarito il Landeshauptmann, «mi consulterò con le altre Regioni ordinarie e a statuto speciale».

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