Trump e le iniezioni di alcol: le sparate del presidente mettono a rischio la rielezione
Basta briefing (ovvero: conferenze stampa), «non vale più la pena perderci tempo ed energie». È su Twitter che Donald Trump sfoga tutta la sua amarezza per la bufera che lo ha travolto, il polverone sollevato per aver azzardato davanti alle telecamere l’idea che il virus si possa sconfiggere con iniezioni di disinfettante. È l’ultima delle affermazioni che hanno messo in grave imbarazzo le autorità sanitarie e i superesperti scelti dallo stesso tycoon per guidare la lotta alla pandemia. E l’aver definito le sue parole «sarcastiche», nel tentativo di minimizzare l’infelice uscita, ha finito per peggiorare la situazione.
Così, dopo l’ondata di reazioni incredule ed indignate della comunità scientifica e delle stesse aziende che producono antisettici ed antibatterici, il malumore rischia di esplodere anche all’interno della Casa Bianca e del partito repubblicano.
La paura è che le polemiche sugli show del tycoon, unite al bilancio sempre più grave della pandemia e alle inevitabili conseguenze economiche e sociali, porti a un crollo della popolarità del presidente con un doppio schiaffo a novembre: niente rielezione e Senato riconsegnato ai democratici. Con i contagi che in Usa oramai sfiorano il milione di casi, oltre 54 mila morti (tornati a salire a più di 2.500 nella giornata di sabato) e 26 milioni di americani già rimasti senza lavoro.
Da tempo tra le mura dello Studio Ovale i più stretti collaboratori del tycoon cercano di convincerlo a cambiare il format degli incontri con la stampa, trasformati da Trump in infinite maratone più simili a un comizio che ad un briefing.
Sessioni fiume con i giornalisti piene di insidie e che hanno finito per esporre il presidente più del dovuto, e che in chiave elettorale rischiano ora di trasformarsi in un boomerang. I consiglieri glielo hanno ripetuto più volte nelle ultime settimane. Ma Trump, nonostante sia terrorizzato dall’idea di passare alla storia come presidente per un solo mandato, si è sempre mostrato riluttante al passo indietro, a cedere il podio e i riflettori agli esperti e a colui che in teoria è il massimo responsabile della task force antivirus: il vicepresidente Mike Pence, relegato al ruolo di comparsa.
Anche a Capitol Hill cresce l’insofferenza nel partito, con i sondaggi che a poco più di sei mesi dal voto vedono aumentare il vantaggio di Joe Biden e dei democratici. E quello che fino a poco tempo fa era considerato come il “worst case scenario” (il peggior scenario possibile) oggi non lo è più. L’incubo del 2008, quando Barack Obama riconquistò la presidenza e i dem rafforzarono il loro controllo del Congresso, agita i vertici repubblicani più di quanto non accadde ai tempi dell’impeachment. Politico intanto ha svelato l’esistenza di un documento di 57 pagine inviato a tutti i candidati del partito in cui si danno precise direttive sulla strategia da seguire in tema di coronavirus: attaccare a testa bassa la Cina, accusando i democratici di essere troppo morbidi verso Pechino, promettendo sanzioni verso il gigante asiatico reo di aver contribuito a diffondere il virus.
E mentre alcuni stati Usa hanno iniziato ad allentare la stretta delle misure anti-pandemia, il virologo Anthony Fauci ha rinnovato il suo appello: prima di riaprire l’economia vanno almeno raddoppiati i test. «Bisogna riportare la situazione sotto controllo - ha detto - altrimenti non torneremo mai alla normalità. Bruciare le tappe porterà quasi certamente a un rimbalzo dei contagi». New York intanto ha dato il via libera dei test nelle farmacie.