Pandemia / I viaggi

Green pass, la Ue scrive agli stati: serve più impegno per partire il 1° luglio

Da Bruxelles nuovo appello a fare più fretta nel coordinare le misure che dovranno garantire il ripristino della libera circolazione dei cittadini nell'Unione che è stata pesantemente penalizzata dal'inizio della pandemia

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di Zenone Sovilla

TRENTO. In ordine sparso, gelosi dei propri confini nazionali malgrado ai fini epidemici siano una variabile irrilevante nel contesto Ue, incapaci di coordinare azioni sanitarie e di prevenzioni comuni a un anno e mezzo dall'inizio della pandemia.

Gli stati nazionali faticano a cambiare rotta e ad ammettere finalmente che solo una reale condivisione delle politiche anti-covid a livello comunitario è in grado di orchestrare una gestione razionale, più efficace sul piano sanitario - conn un sistema di misurelocali che prescindono dallen frontiere - e libera da iniziative nazionali che penalizzano inutilmente a libertà di circolazione sancita dai trattati Ue.

Gli stati hanno preferito, invece, esaltare il proprio ruolo di tutori della salute pubblica e trasmettere ai propri cittadini un senso (mal riposto) di sicurezze basato anche su generiche chiusure o limitazioni alle frontiere.

Ognuno a modo suo, con obblighi di ingresso diversi fra loro e mutevoli nel tempo anche in assenza di comprovate motivazioni scientifiche (da divieto di viaggi ritenuti "non essenziali" all'imposizione di quarantene immotivate).

Peraltro, fin dalla primavera dell'anno scorso la commissione e il parlamento europei hanno invitato i governi a armonizzare le politiche sui viaggi in Europa, indicando possibili linee guida e condannando le misure unilaterali (che ognuno, invece, continua ad adottare).

Ora dovrebbe entrare in vigore il famoso green pass, l'unico strumento comunitario che i governi hanno accetato di sottoscrivere; ma sembra sia a rischio la data prevista del 1° luglio per l'attuazione del lasciapassare in tutta l'Unione (più i Paesi dello Spazio economico, Norvegia, Islanda e Liechtenstein, nonché la Svizzera).

Si prevede il via libera per i vaccinati (anche con la sola prima dose qualora il ministero della salute del Paese membro lo prevedesse), per i guariti dal covid (da non più di sei mesi), per chi presenta un tampone molecolare o antigenico (ma anche qui ogni Stato si riserva di stabilire le proprie liste di test accettati anziché aderire a un elenco comune); inoltre resta la questione confusa dei prelievi salivari per i test pcr, molto meno invasivi, specie per i bimbi, ma attendibili e processati in laboratorio come quelli di massima sensibilità.

C'è poi un capitolo totalmente ignorato dalle norme: quello dei guariti dal covid da più di sei mesi o comunque privi di attestazioni sull'avvenuta malattia, ma che hanno eseguito un esame del titolo anticorpale scoprendo di avere le difese immunitarie già forti.

Per queste fattispecie, tutt'altro che rare, malgrado la presenza di un referto ufficiale sulla presenza di anticorpi, la legge non prevede l'accesso alla certificazioni e inoltre non possono vaccinarsi, perché per cautela ingenere è previsto un peirodo di latenza di qualche mese seguito dalla ripetizione dell'analisi del sangue.

Eppure, in realtà, sono persone sostanzialmente  equiparabili ai vaccinati. E in ogni caso la misurazione anche quantitativa degli anticorpi presenti, consente di valutare ogni singolo caso sulla base di parametri certi. Cosa che non avviene.

Misteri delle tecnocrazie saniarie.

Che le resistenze nazionali persistono e rischiano di inceppare i meccanismi europei lo conferma la lettera inviata oggi ai 27 primi ministri dai commissari europei Didier Reynders, Thierry Breton e Stella Kyriakides i quali chiedono agli stati di applicare il prima possibile, preferibilmente entro il primo luglio, le raccomandazioni del Consiglio Ue (cioè dai governi medesimi...) per coordinare le misure restrittive sul movimento dei cittadini causate della pandemia e sul certificato digitale Ue.

La commissione, insomma, oggi, 29 giugno, sente ancora il bisogno di raccomandare agli stati di garantire la libertà di movimento delle persone che hanno recuperato dal covid o hanno completato il ciclo vaccinale, assicurare l'unità familiare (comne si ricorderà, spesso le misure nazionali, con una marcata dose di cinismo patriottico, hanno totalmente ignorato i vincoli parentali impedendo i ricongiungimenti) e di coordinare le misure prendendo a riferimento le mappe settimanali elaborate dal Centro Ecdc.

 

Mappe che peraltro si basano ancora sull'incidenza dei test positivi in un singolo territorio regionale: un parametro ormai contestato da molti esperti, che invitano a valutare piuttosto la situazione sulla base prevalente del quadro clinico, del ricorso a cure e ospedalizzazioni per covid.

Sullo sfondo della sollecitazione della Ue nei riguardi degli stati nazionali risiedono, probabilmente, sia la consueta ossessione di poter derogare su scala interna ai patti comuni, sia il ritardo con cui una parte degli stati si muove nel percorso del green pass: alcune capitali, infatti, non hanno ancora attivato il collegamento con la piattaforma europea di verifica dei certificati, cioè il gateway che valida la firma digitale interpretata tramite un qr-code.

Uno scenario fluodo e piuttosto confuso. Eppure dal febbraio 2020 sono passati alcuni mesi.

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