Miriam, morirea voce alta
Fino all'ora estrema, in prima linea, con la passione di una vita: così è bello morire
"She's a rich girl, she don't try to hide it.
she got diamonds on the soles of her shoes" (Paul Simon)
Sarà solo il buio oci sorprenderà la luce, il nulla o un'altra vita, la fine o unnuovo inizio, oltre la porta? Passare quella soglia si dovrà,e non ci è indifferente il come. Che brutta morte (omicidio,eutanasia, liberazione o pietà che tu la chiami) èstata riservata ad Eluana. Invece, che bella morte è toccata aMiriam Makeba, anima d'Africa, mamma e figlia e moglie e amante esorella nera: il suo cuore si è fermato in fondo a unconcerto, dopo aver regalato alla Gomorra campana, cosìlontana da casa, gli ultimi sussulti della sua indimenticabile vocedi combattente.
Grazia speciale è morire come lei, sulfronte della vita, regalando quelle che non sapeva essere le sueultime note, le sue parole estreme. E sono diventate il testamentovibrante di un'esistenza cantata. Quella di ZensileMakeba Qgwashu Nguvama Yiketheli Nxgowa Bantana Balomzi Xa UfnuUbajabulisa Ubaphekeli Mbiza Yotshwala Sithi Xa Saku Qgiba UkutjaSithathe Izitsha Sizi Khabe Singama Lawu Singama Qgwashu SingamaNqamla Nqgithi: questo il suo nome completo, dalla litania dei suoiantenati maschi, perché un vero nome africano è giàuna storia.
Un dono grande è sfuggire a una morte lunga,affaticata, interminabile, magari dopo anni di oblio e sfinimento einfinito sfaldarsi di cellule e neuroni. Andarsene invece nel vivo diun esserci, di un lavoro umano, di uno spendersi generoso, di unavera passione: ecco le buone morti, le morti perfino belle.
Meno di un secolo fa,nella Grande Guerra, si poteva ancora cantare la bella morte di undiciottenne falciato in prima linea, il corpo fatto a pezzi per laPatria.
Oggi, nella nostra partedi terra – che non ha più fame, e non vive nel pericolo ed èstanca di troppa pace – ci resta l'eroismo quotidiano di unapassione, di un impegno, di un lavoro che – senza proclami –cerchi di cambiare (in meglio) il mondo. Se poi la morte là ciprendesse, prima di aver tirato i remi in barca, nel vento robustodella navigazione, fortunati noi.
Pensa a Piero Agostini,grande cronista, che dopo l'Adige andò a fare il direttore aBrescia e morì lì, una notte, sulle scale del giornale,con in mano l'ultima prima pagina. Pensa ad Oscar Romero, vescovo deipoveri ucciso con una fucilata dal sicario dei ricchi, mentre dicemessa. Pensa a Walter Micheli, socialista e ambientalista, che rendel'ultimo respiro in mezzo a un prato, tra le montagne amate, sotto ilsuo cielo. Pensa a Karl Unterkircher, inghiottito da un crepaccio sulNanga Parbat, consacrato per sempre all'Himalaya, che poco primaaveva scritto «Siamonati e un giorno moriremo. In mezzo c'è la vita. Io lachiamo il mistero, del quale nessuno di noi ha la chiave. Siamo nellemani di Dio….e se ci chiama… dobbiamo andare. La montagnachiama». Pensaal calciatore che muore dopo il gol, al ciclista in cima alla salita,all'attore sul palcoscenico, al politico durante il comizio, alnavigante in mare, allo scrittore sulla pagina, al medico che cura, al padre in soccorso del figlio, al figlio in aiuto alla madre,all'innamorato nell'amore.
Mama Makeba, "Mazi"del Sudafrica, combattente anti-apartheid, è morta cantando, a76 anni: l'età in cui tanti sono già ritirati, sirisparmiano, si riposano, si intristiscono. Vien da festeggiarla,voce di polvere e diamanti, con le parole di Simon, con cui cantòin un memorabile concerto africano, di scarpe speciali per unaragazza speciale: la gente dice che è matta – porta idiamanti sulla suola – un modo per non esser triste a camminaresola – diamanti sulla suola.