No, lo scoiattolonon è uno spreco
Ci sono dei format ricorrenti, delle rubriche fisse, nel programma del Festival dell’Economia. Format che, dopo anni (siamo ormai alla chiusura della quinta edizione), si ripetono, perché hanno riscosso grande successo. Scorrendo il programma si possono riconoscere facilmente. Ci sono le «Visioni» (la prima fu quella dell’economista cinese Fan Gang, prima edizione del Festival, 1° giugno 2006), ci sono le «Intersezioni» (esordio con Luciano Gallino 2 giugno 2006) e i «Testimoni del Tempo» (il primo di una lunga serie fu Federico Rampini che ci raccontò l’epopea di Cindia). A cambiare sono i contenuti e i protagonisti di questi appuntamenti. Ce ne è una, invece, che in pratica non cambia mai, né nei contenuti né nei protagonisti, e che fa ormai parte del Festival.
È la consueta polemica sui costi della manifestazione, generalmente innescata dalla Lega Nord. Ci sono delle varianti, è vero, dal «Festival della ciuìga» del senatore Sergio Divina in poi, ma la sostanza è sempre la stessa: lo scoiattolo arancione costa troppo, si spendono troppi soldi per pagare dei soloni che pretendono di spiegarci tutto ma non hanno saputo prevedere la crisi, ai trentini queste cose non interessano, meglio spendere quei soldi per fare un marciapiede in più... e si potrebbe andare avanti.
Tutto nasce dal presupposto - secondo me profondamente sbagliato - che la spesa per il Festival sia per forza di cose uno spreco. Soprattutto in tempi di vacche magre come quelli che stiamo vivendo. Uno spreco? A giudicare dalla domanda di cultura, informazione e approfondimento che emerge nei giorni del Festival (avete visto le file per la Gabanelli, le piazze strapiene, i maxischermi presi d’assalto)? Chi dice che un marciapiede in più migliora la vita dei trentini più di un appuntamento in piazza con un premio Nobel?