Inceneritore, la rotta... rotta
Si potrebbe apprezzare che finalmente il presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, ha detto qualcosa di netto contro l'inquinamento atmosferico.
Ma rispondere che "quei trattori inquinano più di un inceneritore" non è stato propriamente un modo fattivo di confrontarsi con in contadini e con gli altri cittadini che ancora una volta sono sfilati nelle vie del capoluogo per chiedere prassi pulite nel ciclo dei rifiuti e l'accantanomento di progetti obsoleti che puntano sulla combustione della spazzatura.
A 24 ore dall'elegante uscita del presidente, il concetto è stato ribadito dal suo delfino Alberto Pacher (aspirante successore?), secondo il quale l'ormai datata (anche tecnologicamente) decisione di costruire l'impianto è irrevocabile.
Entrambi, il presidente e il suo fidato vice, concordano su tutto, compresa l'affermazione che il variegato arcipelago di forze sociali in campo per una gestione diversa della questione rifiuti "non rappresenta la maggioranza dell'opinione pubblica".
Insomma, ai cittadini che si mettono di traverso viene riservata ancora una volta una dose di arroganza politica e il nucleo della problematica viene liquidato con i soliti assunti dogmatici che portano alla certezza che incenerire è bello e necessario anche in Trentino.
L'alternativa snobbata dal Potere politico
Non importano le alternative prospettate da chi si mobilita supportato da profonde competenze scientifiche in materia, né la testimonianza (giunta anche sabato a Trento) di esponenti istituzionali provenienti da territori vicini che dimostrano l'inutilità degli inceneritori adottando modelli di raccolta differenziata porta a porta, di espansione delle tipologie di materiali riciclabili (in appositi centri specializzati che selezionano e rilavorano anche la frazione di residuo secco) e di politiche per la riduzione della produzione di rifiuti domestici.
Viste le dichiarazioni di Dellai e Pacher si potrebbe concludere che il Palazzo è blindato nella sua comoda concezione di una democrazia del silenzio-assenso in cui chi dissente è soltanto un misero specchio deformato della massa sociale che accetta tutto; in cui il migliore dei mondi possibili si materializza in quel misero 40% di affluenza elettorale per il neonato poltronificio delle comunità di valle.
In realtà, però, tanta presunzione istituzionale potrebbe essere un esercizio scaramantico, anche perché non si può non comprendere che le migliaia di persone impegnate onestamente da anni sul fronte rifiuti hanno seminato molta consapevolezza, sono la punta di un iceberg di conoscenza diffusa.
Dunque questo esercizio scaramantico è più che giustificato, a maggior ragione sulla scia di una serie di episodi tutt'altro che rassicuranti traducibili in una certa perdita di credibilità del "sistema provinciale", a cominciare dalle inchieste sulle discariche abusive di veleni e sull'inquinamento causato dall'acciaieria in Valsugana (denunciato localmente invano per anni dai cittadini, fino alle indagini del Corpo forestale dello Stato).
Minimizzare la questione è un boomerang
A forza di minimizzare e di denunciare complotti (vi ricorda qualcuno?), al prossimo giro di "state tranquilli, ci pensiamo noi", i nostri papaveri rischiano di finire sepolti da una risata collettiva.
Perciò, per evitare questa parabola sconveniente e riconquistare attendibilità, tutto fa brodo, compresi epiteti poco urbani e improvvisazioni dialettiche di segno scaramantico, appunto, per propiziare un ritorno di immagine.
Fa nulla se ciò comporta atteggiamenti aggressivi e ingenerosi nei riguardi della parte più sincera e avanzata della società civile, quella che studia e si mobilita nel nome del bene comune suggerendo soluzioni moderne al posto dell'archeologia dell'incenerimento dei rifiuti.
Evidentemente si capisce che non sarà semplice convincere i trentini a farsi impiantare una enorme ciminiera nel mezzo della valle dell'Adige, in un'area già alle prese con varie forme di inquinamento atmosferico, a cominciare dal debordante traffico leggero e pesante per il quale peraltro latita una qualsivoglia misura mitigatrice.
Sarà ancora più complicato persuadere la popolazione a fronte di una raccolta differenziata che decolla grazie alla marcata adesione sociale e nonostante i metodi adottati in vari bacini di utenza spesso non siano adeguati a incoraggiare la partecipazione, anzi.
Infatti, molti ormai si fanno una semplice domanda: "Se ricicleremo quasi tutto, che cosa si brucerà a Ischia Podetti?".
Finalmente la Provincia potrebbe rispondere: in effetti, sì, forse è il caso di ripensarci; pausa di riflessione. Grazie a tutti voi, ci avete aiutato a capire che un progetto nato vent'anni fa, forse oggi è davvero vecchio.
Invece, niente: non si cambia idea.
Il mega affare Cip6
Ma a questo punto si potrebbe ipotizzare che in siffatte condizioni, un impianto di incenerimento più che rispondere alle esigenze del ciclo dei rifiuti, andrebbe incontro alle logiche mercantili ben rappresentate dai contributi statali Cip6, che vanno e vengono, ma soprattutto tornano sempre, nello scandalo italiano che assimila l'energia prodotta bruciando rifiuti a quella da fonti rinnovabili come il sole e il vento.
Così ai gestori dei cosiddetti "termovalorizzatori" vanno i denari prelevati direttamente nelle bollette elettriche degli italiani, il che spiega come mai in questi anni fare l'inceneristorista (pubblico e privato) è stato un mestiere particolarmente redditizio.
Forse va vista in questa prospettiva anche la disposizione sulla chiusura del ciclo dei rifiuti nei territori che li producono: più che una esigenza di razionalità organizzativa potrebbe trattarsi di una equa distribuzione dei contributi statali.
Nel nostro caso, data la proiezione a diminuire della quantità di indifferenziato, anche volendo insistere con la medievale combustione, avrebbe per esempio avuto senso un dialogo fra Trento e Bolzano (che ora sta realizzando il suo secondo inceneritore a poche decine di chilometri da Ischia Podetti).
Comunque sia e quali che siano le sue profonde convinzioni, la politica provinciale tira diritto in un progetto che proietterà gioiosamente il Trentino nel passato delle prassi sui rifiuti ancorandole per vent'anni alla scelta di bruciare, a prescindere dalla rapida evoluzione in corso nell'ambito delle tecnologie e delle pratiche per minimizzare l'impatto ambientale e massimizzare il recupero sano dei materiali dopo il primo utilizzo (ma perché non costruire, invece, un impianto avanzato di trattamento e riciclo?).
Verso l'omologazione "padana"
Una rotta - quella difesa da Dellai e Pacher a spada tratta facendo il diavolo a quattro di fronte alle critiche - che identifica una sorta di omologazione "padana" in una serie di dinamiche riguardanti il rapporto con l'ambiente/salute e i suoi riflessi sulla collettività (mobilità, consumo di territorio, inquinamento eccetera).
Dinamiche nelle quali la disponibilità finanziaria e la facoltà decisionale derivanti dall'autonomia costituiscono un'aggravante.
Una rotta che oltretutto produce risultati del tutto incoerenti con la rappresentazione sempre più immaginaria del verde Trentino insistentemente veicolata da un presenzialismo istituzionale a tratti ossessivo.
Una rotta resa praticabile dalla presenza di una densa e capillare palude di poltrone consenzienti, un cordone di sicurezza del Palazzo che alla bisogna funge anche da filtro ridimensionando, ghettizzando o stigmatizzando le "eresie"; che si tratti di rifiuti o di strade, di ferrovie o di meleti chimici, di discariche o di acciaierie, di basi militari o di speculazione edilizia.
D'altra parte, a ben guardare una serie di indicatori di benessere e malessere, il Trentino non si discosta dal resto del profondo Nord.
Ma dunque è tutta qui la specialità dell'autonomia?
Comunque sia, per fortuna c'è dell'altro. Il Trentino vive anche di una miriade di individualità (qualcuna isolata ma combattiva anche dentro le istituzioni) e di soggetti collettivi che si spendono tutti i giorni per invertire una rotta inquietante, difendere e rendere più vivibile la loro terra.
E lo fanno anche dialogando con l'infinita galassia di realtà analoghe di cui è disseminata l'Italia. Dietro di loro c'è un'idea sana di "cosa pubblica", di rappresentanza e di partecipazione democratica.
Di fronte a questi fermenti costruttivi l'aggressivo snobismo del potere politico rischia di ridursi a un esercizio fine a se stesso, a un riflesso condizionato (istinto di sopravvivenza di una classe dirigente opaca?) destinato solo a tirare la corda fragile di una rappresentanza che potrebbe spezzarsi.
webmaster | 23/11/2010 23:29 | Il non rispetto di qualcuno delle più elementari regole che sono alla base di una discussione civile negli spazi messi a vostra disposizione da www.ladige.it ci ha costretti a bloccare la discussione sull'articolo "Inceneritore, la rotta... rotta". |