Alla borsa piacciono le azioni (di guerra)

di Renzo Moser

Sto andando al lavoro, sono in macchina, e ascolto la radio, come sempre. Il notiziario si apre ovviamente con le news in arrivo dalla Libia e con la ripresa dei raid aerei. Poi l’attenzione si sposta sui mercati: «La crisi libica non si fa sentire sulle borse, che hanno aperto tutte in positivo».
Eh no, la crisi libica si fa sentire eccome: e infatti gli indici corrono. E non è un caso. La borsa, tradizionalmente, quando la parola passa ai cannoni, esulta; la borsa non ama la diplomazia, ama le azioni (di guerra). Perché la borsa sa che dopo distruzione e orrore, arrivano ricostruzione e possibilità di arricchirsi enormemente.
Se si sta dalla parte giusta, ovviamente. Secondo uno studio pubblicato su Journal Of Peace Research (http://jpr.sagepub.com/) da Massimo Guidolin e Eliana La Ferrara (già vista a Trento al Festival dell’economia), nei 101 conflitti presi in esame nel periodo 1971-2004, i mercati hanno reagito in media sempre positivamente.
Anche la guerra diventa un incentivo.

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