Forse nelle casse dei partiti ci sono troppi soldi
C’è una cosa che colpisce più di altre in questa primavera di scandali che ha colpito i custodi dei patrimoni dei partiti. Non è il fatto che un funzionario, al quale vengono affidati milioni di euro e che può contare di fatto su una discrezionalità e un’assenza di trasparenza degne del peggior paradiso fiscale, possa cadere in tentazione, e appropriarsi di soldi che non gli spettano. Sarebbe un mascalzone, certo, un mariuolo, per usare un’espressione che portò sventura massima a chi la pronunciò, ma non sarebbe necessariamente il segnale, o meglio il sintomo, di un sistema malato nel profondo.
Nei casi di Lusi prima (Margherita) e Belsito poi (Lega), quello che colpisce è un’altra cosa: è l’incredibile quantità di soldi che ritroviamo nelle casse dei partiti. Decine di milioni di euro che sfuggono a ogni controllo, e che rimangono parcheggiati su qualche conto nel migliore dei casi, o, nel peggiore (e più frequente, a quanto pare) vengono utilizzati per fini, diciamo, impropri.
Non sono contrario al fatto che i partiti possano contare su delle risorse per finanziare la loro attività: per pagare propri dipendenti, tenere attive le sezioni, «fare politica», insomma, nel più alto significato del termine.
A questo dovrebbe servire il finanziamento pubblico dei partiti. E per questo dovrebbe essere speso. Se invece i soldi ti avanzano, e ti consentono, che so, di fare degli avventurosi investimenti finanziari in Tanzania, come è successo alla Lega, vuol dire che di soldi ne hai ricevuto troppi. Molto più del necessario. E quindi, trattandosi di soldi pubblici, nostri, li devi restituire. Saranno usati per altri scopi, altrettanto nobili.
Prendiamo, per esempio, quello che succede a una piccola associazione che promuove servizi su un territorio. Non ha diritto a un finanziamento pubblico, se lo deve guadagnare: deve presentare un progetto, partecipare a un bando, dimostrare che l’attività che promuove sarà a vantaggio della sua comunità di riferimento, battere la concorrenza di altre associazioni, altrettanto benemerite. Se vince, spendere i soldi per quell’attività, non per comprare bei vestiti per i propri soci. E se non spende tutto, quello che avanza lo deve restituire. Ecco, facciano così anche le tesorerie dei partiti. Non servono referendum né grandi riforme: basta una contabilità ordinata e rigorosa. Rigore e controllo che risparmieranno, a chi è chiamato a gestire i soldi pubblici, penosi imbarazzi come quelli che hanno colpito Umberto Bossi, che per difendersi non ha sputo fare di meglio che minacciare: «Denuncerò chi ha utilizzato i soldi della Lega per sistemare la mia casa». Ricorda un po’ un altro ex ministro, che aveva comprato casa a Roma ma non sapeva dire chi gliela aveva pagata. Capita anche a noi, no?