Il conflitto nei frutteti cancellato dal presidente
È stato il governatore Lorenzo Dellai in persona a togliere le castagne dal fuoco a molti amministratori e consiglieri comunali della val di Non, in grave imbarazzo per il presunto conflitto di interesse (più conclamato che presunto, in verità, secondo un autorevole parere del Servizio Autonomie locali della Provincia) relativo all’adozione del «Regolamento per l’utilizzo dei prodotti fitosanitari in prossimità di centri e abitazioni». E lo ha fatto nel pieno rispetto di una tradizione tutta italiana, scegliendo cioè non la «retta via», ma una discutibile scorciatoia. Perché è difficile considerare altrimenti quella che appare come la palese, ancorché poco convincente, sconfessione delle ben più argomentate conclusioni del già citato Servizio provinciale.
D’altra parte, negli ultimi anni, in Italia, in tema di conflitto di interesse ne abbiamo viste un po’ di tutti i colori. Diciamo che non ci siamo fatti mancare nulla, da chi ha fatto finta di non vederlo a chi lo ha elevato a programma di partito e, soprattutto, di governo. Poche volte, forse mai, abbiamo assistito a un serio, degno tentativo di risolverlo, seguendo, per l’appunto, la strada maestra: di fronte a un conflitto di interesse che investe un amministratore della cosa pubblica, o si elimina il conflitto o si elimina l’interesse. Tertium non datur, almeno in teoria. Nella realtà, purtroppo, una terza, quarta, quinta via si dà eccome. E il Trentino, per altri versi sempre così pronto a fustigare i vizi del Belpaese, non fa eccezione.
La vicenda è nota ed è stata molto dibattuta tra i frutteti della val di Non: la Comunità di Valle elaborò un «Regolamento» sui trattamenti fitosanitari in prossimità delle case, da molti considerato troppo permissivo. Il provvedimento è stato poi messo a disposizione dei Comuni, ai quali spetta l’eventuale adozione. Investito del problema della presunta incompatibilità di molti consiglieri comunali nonesi, che sono anche imprenditori agricoli, e che dunque si sarebbero potuti trovare in palese conflitto di interesse, il Servizio Autonomie locali della Provincia aveva prodotto un parere piuttosto stringente in materia, concludendo quanto segue: «Appare verosimile che l’atteggiamento del consigliere possa subire un condizionamento dalle vicende che, in base all’adozione o meno del regolamento in questione, interverranno sensibilmente sulla sua sfera personale determinando un condizionamento tale da influire sul sereno ed obiettivo formarsi della volontà in proposito, così da far legittimamente dubitare dell’imparzialità della stessa, in quei modi che l’ordinamento vuole tutelati con la previsione dell’obbligo dell’astensione». Tutto chiaro? No, perché a complicare le cose, ci si è messo, per l’appunto, il governatore in persona, con una comunicazione un po’ irrituale.
Di sicuro insolita, giacché non è chiaro chi abbia richiesto il supplemento di indagine, che finisce per ribaltare la «sentenza di primo grado» del Servizio Autonomie locali (nel testo si parla genericamente di «problematiche avanzate da una serie di amministrazioni comunali»).
Né è chiaro se si tratti di un atto, per così dire, politico, o di un parere tecnico-giuridico vero e proprio. Ma allora perché non porta la firma del responsabile di un servizio tecnico dell’amministrazione provinciale, e porta invece quella del presidente della giunta, quasi che quest’ultimo se ne volesse assumere in pieno, e in prima persona, la responsabilità? E ancora, che valore hanno quelle «considerazioni interpretative della disciplina applicabile»? E da quando in qua tocca al presidente «interpretare» la disciplina?
L’intervento presidenziale, insomma, solleva più di una perplessità. Non solo nella forma, ma anche nella sostanza. Soprattutto se paragonato al precedente parere, peraltro liquidato sbrigativamente come «prime indicazioni fornite dal Servizio Autonomie locali».
Tanto appare inequivocabile il primo, tanto è ambiguo il secondo, così da far pensare, più che a un tentativo di far chiarezza su una materia controversa, a un (debole) assist per chi del proprio conflitto di interesse su una materia tanto delicata ha deciso di infischiarsene.
Nel «suo» parere, Dellai si aggrappa prima di tutto alla scarsa giurisprudenza in materia. Nella maggior parte dei casi, spiega il presidente, il conflitto di interesse che investe i consiglieri comunali riguarda le pratiche urbanistiche, mentre nel caso dell’adozione di regolamenti i casi di contenzioso sono relativamente rari. Tanto basta per concludere che «per tale tipologia di atti non ricorrano le condizioni di diretta correlazione tra gli specifici interessi dell’amministratore e l’interesse pubblico generale, perseguito dall’atto normativo, richieste dalla legge perché si ravvisi un obbligo di astensione». Insomma, una rapida scorsa alla casistica dei contenziosi sarebbe sufficiente per stabilire un principio di una certa rilevanza. La conclusione, piuttosto stiracchiata e quanto meno discutibile, è la seguente: sembra ragionevole ritenere, si legge, che il caso in questione «non generi, in via tendenziale, alcun obbligo di esclusione, per lo meno finché l’atto normativo non interferisca in modo specifico e diretto con la situazione di fatto correlata all’interesse dell’amministratore».
Non basta: «Perché si ravvisi un obbligo di astensione appare quindi necessario che la situazione di interesse dell’amministratore possa essere rappresentata e configurarsi come diversa e distinta rispetto ai molteplici interessi propri della collettività cui il regolamento si indirizza». Che sarebbe come dire: siccome i consiglieri comunali che sono anche imprenditori agricoli sono tanti, il problema del conflitto di interesse e del conseguente obbligo di astensione, non si pone. E gli altri, quelli che non digeriscono una disciplina così poco restrittiva sull’uso degli atomizzatori vicino alle case? Che si rassegnino.