Pd a pezzi, il vincitore è Berlusconi

Il golpe è quello di Grillo. Rodotà si è lasciato usare contro Bersani e il Cavaliere e non sarebbe mai passato

di Fabrizio Franchi

 

Napolitano è presidente della Repubblica per la seconda volta, al termine di giornate drammatiche, che hanno stremato il Partito democratico che ora si ritrova decapitato nel suo gruppo dirigente, dilaniato da lotte interne, assalito da giovani rampanti alla ricerca di spazi. Spazi che in questi giorni hanno cercato falciando senza pietà l'erba sotto i piedi del loro stesso partito e tradendo la fiducia che Bersani riponeva in loro.

Troppi in queste ore stanno profetizzando scenari da fine del mondo per il Pd. Certo ci sarà una resa dei conti, certamente sul terreno troveremo dei morti – politicamente parlando – ma credere che il Pd scompaia non ha senso e nemmeno farebbe bene alla democrazia italiana.

Piuttosto è preoccupante la campagna scatenata da Beppe Grillo e dai grillini, con accuse di golpe per l'elezione di Napolitano, che ha ricevuto i tre quarti dei voti del Parlamento. Il golpe tecnicamente è un'altra cosa e Grillo lo sa bene. Ma a lui interessa accelerare la crisi del sistema, poi quel che si prospetta dopo sarà un problema di tutti noi e non suo. Il golpe è quello che sta attuando il guitto di Genova, facendo marciare i suoi contro le istituzioni votate da tutti noi. Il golpe è spacciare le “quirinarie”, di cui ancora non conosciamo i veri risultati, come una consultazione nazionale. 48 mila voti – perché questo sarebbe il numero reale di voti dei militanti grillini – sono spacciati come una consultazione generale di tutto il popolo. Poche migliaia di voti a Rodotà – sul web e senza alcun controllo di un garante terzo - vengono fatti passare per il “desiderio del popolo”. Quel Rodotà che due anni fa venne infangato da Grillo per il vitalizio che riceve da ex parlamentare. Quel Rodotà che non poteva arrivare da alcuna parte perché da un lato, per narcisismo, si è lasciato usare come una clava dal movimento 5 Stelle per colpire il suo – a questo punto ex – partito e dall'altra ha permesso che venisse usato come un candidato esplicitamente anti berlusconiano, appoggiato dai pasdaran di Micromega. Era un candidato contro tutti e a questo punto verrà ricordato come l'esponente dell'estremismo populista. Non lo hanno capito i giovani del Pd che hanno silurato Prodi e su questi giovani, in particolare, il Pd dovrà interrogarsi. Dovrà riflettere attentamente sulla selezione della sua classe dirigente e sulla sua formazione.

Ora, molti pensano che sia venuto il tempo di Renzi. Ma non sarà così. La sconfitta di Prodi è anche la sua sconfitta. Non solo. Renzi, dovesse mai prendere in mano il Pd, perderà fette consistenti di elettorato di sinistra. La vacuità delle sue proposte non potrà mai scaldare il popolo di sinistra. E a destra non potrà sperare di attirare voti perché, tra l'originale e la copia, tutti scelgono sempre l'originale e non ci saranno elettori di centrodestra che lasceranno Berlusconi per mettersi con Renzi. L'età non basta per fare un programma elettorale. Se n'è reso conto anche Grillo che in Parlamento ha proposto un ottantenne.

Mentre un altro quasi ottantenne, Silvio Berlusconi, può sfoderare un sorriso gigantesco, perché in fin dei conti è lui che ha indovinato tutte le mosse giuste. Non avendo le truppe per vincere, ha giocato di tattica e può arrogarsi (quasi) tutti i meriti.

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