Capricci a 2/3 anni: ecco tre risposte
"Devo punirlo o devo ignorarlo quando fa capricci?" mi scrive Sofia, mamma di Luca, due anni. Sono molti i genitori impreparati a gestire le prime provocazioni dei figli dopo i 18 mesi di vita. Fino ad allora un bambino è stato "pappa e ciccia" con sua mamma e non ha ancora acquisito una sua vera indipendenza nell'ambiente. È arrivato a parlare, camminare, mangiare e giocare da solo e arriva anche il momento in cui riesce a dire "io", "io voglio" ed anche una parolina che sconvolge i genitori, "no!".
Come rispondere a queste sue prime provocazioni? Le nonne non ci pensavano due volte a dare una sberla, a chiudere la bocca, a punire il bambino "maleducato, cattivo, insolente", minacciando pene più severe in caso di altri episodi di disobbedienza o di provocazioni. In questo modo, da che mondo è mondo, una madre poteva far rigare dritto anche dieci figli, promettendo altre punizioni da parte del padre. Tutta la società era d'accordo nel non tollerare che un bambino disobbedisse ai suoi genitori e ai maestri.
Oggi i genitori ci pensano due volte di fronte ad un bambino impertinente. Istintivamente possono sentir prudere le mani con la voglia di sgridare e di punire il bambino (come le nonne); ma subito si fermano perché oggi tutti sanno che i bambini non devono essere picchiati (c'è il telefono azzurro!). A questo punto, di fronte al bambino che urla, si sceglie spesso, troppo spesso, una seconda strada più comoda per farlo cessare: cedere alle sue richieste. E il bambino (viziato) conclude che i genitori sono più deboli di lui e che questa è la strada giusta per ottenere altri vantaggi.
C'è invece un terzo modo di rispondere alle provocazioni, ci sono le regole del dialogo. Da studiare! È la prima volta che tutti i genitori (anche i nonni!) devono studiare e prepararsi a questi confronti con la personalità del figlio. Chi ha il libro Bambini sani e felici sa che ci sono 300 risposte a 100 domande e a pagina 108-109 trova anche per questo problema tre soluzioni: non lo si deve maltrattare (1), non lo si deve ignorare o viziare (2), ma si deve cercare di capire il perché dei comportamenti (3). Occorre sapersi immedesimare nel bambino e seguire le regole del dialogo. La prima regola è l'ascolto.
Lui non è "cattivo": sta solo cercando di capire fin dove può arrivare col suo comportamento, che cosa può ottenere da una provocazione, quali reazioni stimola nei suoi interlocutori. E questa sua ricerca sarà sempre più intensa verso i 3-4 anni, finché verso i sei anni riesce quasi sempre a dialogare in modo corretto (se i genitori lo hanno aiutato a fare delle scelte ragionate e condivise). Di fronte ad un bambino che urla e si butta per terra, occorre mantenere la calma e fargli capire che lo ascoltiamo ("sei arrabbiato, vero?") e proporgli poi soluzioni ("secondo me, farei così…"), magari dopo aver avuto un contatto fisico rassicurante. L'obiettivo è dargli sicurezza, serenità, fiducia in sé e fiducia nei genitori.