Alla (ri)scoperta del Biathlon - Lo show di Anterselva

Alla (ri)scoperta del Biathlon

di Luca Perenzoni

Se nel panorama degli sport invernali sul fronte italiano delle Alpi si dovesse individuare un evento di grande richiamo, non si potrebbe non puntare l’attenzione su Anterselva, culla del biathlon italiano e, per molti versi, della stessa Coppa del Mondo, nata proprio in questo angolo all’estremo nord della penisola nel 1977, dopo aver ospitato due edizioni dei campionati mondiali, poi tornati anche nell’83, ’95 e 2007 e in fase di assegnazione per il 2019.

Si parla di Biathlon, dunque. In Italia si tratta invero di uno sport di nicchia, poco praticato e per certi versi seguito almeno dal punto di vista del main-stream, vuoi per l’esigua distribuzione di poligoni per il tiro sul territorio alpino, vuoi per la mancanza, sin qui, di un punto di riferimento, del classico personaggio, elemento cardine per la promozione di uno sport in un Paese come l’Italia, lacunoso in quanto a cultura sportiva. Eppure la tradizione azzurra nel biathlon è stata e sta tornando importante: Passler, Zingerle, Pallhuber Carrara a cavallo degli anni ’80 e ’90, la dinastia delle sorelle Santer capitanate dalla maggiore, Nathalie, quindi Renè Cattarinussi a scavallare il nuovo millennio. Poi qualche anno più difficile, con meno successi per arrivare ai nostri giorni ad un gruppo di giovani dall’ottimo potenziale, capaci di riportare dopo decenni l’Italia sul podio olimpico con il terzo posto nella staffetta mista di Sochi.

In questa stagione in casa Italia sono già arrivati cinque podi (tutti in campo femminile, ma l’anno scorso Lukas Hofer vinse la sprint proprio ad Anterselva), per la maggior parte grazie a Dorothea Wierer, ragazza immagine del movimento e con tutte le carte in regola per diventare quel personaggio capace di far sfondare il biathlon anche in Italia.

Altoatesina di Rasun, proprio nella valle di Anterselva, classe ’90, da un paio di anni di stanza a Castello di Fiemme dove a maggio convolerà a nozze con il suo Stefano; talento indiscusso, simpatia prorompente, fascino notevole; lontanissima dallo (antipatico) stereotipo del sudtirolese. Nel panorama del biathlon è già un fenomeno, in Germania (dove il biathlon è la punta degli sport invernali) è inseguita da fans di ogni età. Insomma, un autentico personaggio che sta facendo sempre più parlare di sé anche nella Penisola. Un nome da tenere d’occhio, in tutti i sensi.

Evento, si diceva. Non perdiamo la bussola. Negli anni Anterselva è diventato il fulcro della stagione del biathlon mondiale per tutta una serie di motivi: dalla tradizione al fascino di un centro insediato in cima alla vallata, a due passi dall’omonimo lago, a quattro dal confine austriaco di Passo Stalle; ai piedi del Collalto e nel mezzo di boschi pressochè selvaggi. Una location fiabesca, verrebbe da dire. Ebbene, nella settimana di Coppa del Mondo, la Sudtirol Arena perde tutto quello che di fiabesco e selvaggio ha per il resto dell’anno, trasformandosi in un’autentica festa per tifosi e appassionati di tutta Europa. Numeri da capogiro, con presenze stimate costantemente oltre le 50.000 unità ed un clima di allegria ed eccitazione che non ha eguali in Italia.

Da anni la quattro giorni di Anterselva è l’appuntamento invernale con il maggior pubblico in Italia, avvicinato nelle ultime stagioni dalla tappa finale del Tour de Ski. Per tutto il resto, non c’è paragone. In questi giorni l’intera vallata si ferma, bloccata dalla fiumana di tifosi tedeschi (in maggioranza), norvegesi, francesi, sloveni e così via, fino all’est europeo. Dal giovedì alla domenica è una festa continua, in puro stile mitteleuropeo nei tendoni che circondano il centro del fondo. Un’esperienza da provare, almeno una volta, per (ri)scoprire uno sport con radici ancorate nella storia, ispirate alla caccia sugli sci dell’antichità (e non solo), passato per la pattuglia alpina di inizio ‘900 per essere poi nel secondo dopoguerra, quando ha perso le sue peculiarità militari per riproporsi come sport moderno a tutto tondo e meritare la nobiltà olimpica nel 1956 per debuttare alle Olimpiadi di Squaw Valley del 1960.

Anche quest’anno saranno quattro i giorni di gara, da giovedì 22 a domenica 25 gennaio: nell’ordine sprint maschile, sprint femminile, i due inseguimenti per chiudere con le staffette. Sei gare che, prevendite alla mano (posti già esauriti nelle tribune per sabato e domenica), promettono di sfondare il muro delle 60.000 presenze. Il consiglio è di farci un pensierino e provare a vedere che effetto che fa.

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E se qualcuno si domandasse cosa fosse il biathlon? Presto detto, è lo sport che accomuna sci di fondo con il tiro. Gli atleti sciano con alle spalle il fucile (calibro 22) e sono chiamati a diverse sessioni di tiro (2 o 4 a seconda della gara) intervallate da una distanza da compiere in tecnica libera. Le sessioni di tiro si differiscono per sessioni a terra (in posizione prona) e sessioni in piedi, con i 5 bersagli posti all’identica distanza di 50 metri, ma dal diametro più piccolo per i tiri a terra (4,5cm) e maggiorato per quelli in piedi (11cm).

Proprio la gestione della fatica sugli sci e del tiro è la chiave del successo del biathlon. Il colpo di scena, l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, tanto che una gara può cambiare completamente di fisionomia nel breve volgere di trenta secondi, il tempo che mediamente serve ad un atleta per affrontare una sessione di tiro. C’è chi predilige la velocità sugli sci, col rischio di presentarsi affaticato al poligono a discapito della precisione (alti battiti cardiaci e fiato grosso sono nemici del tiro) oppure chi regola l’impegno sugli sci per ricercare una maggior precisione, che si traduce in minor penalità (metri in più da percorrere o minuti di penalità, a seconda della gara). Non esiste la formula perfetta, solo il compromesso ideale in base alle caratteristiche di ciascun atleta: proprio per questo, nulla o poco è scritto alla partenza. E lo spettacolo, inevitabilmente, ne guadagna.

In tv (Eurosport segue la Coppa del Mondo di biathlon come punta della programmazione) e pure dal vivo. Basta fare un salto questo fine settimana ad Anterselva.

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