Berlino vs Trentino ovvero, liberiamoci dalla tradizione
Berlino vs Trentino ovvero, liberiamoci dalla tradizione
L’ex «striscia della morte», una landa di terra larga 10 m che si snodava lungo il confine del muro che divideva in due Berlino, allora efficientemente corredata di campi minati e arredata di apparecchi che sparavano automaticamente a chiunque tentasse la fuga, oggi è un parco volutamente spoglio, con un pezzo di muro conservato, una tela libera per i writer. Il Mauerpark i berlinesi lo vivono intensamente, mercatini, musicisti di strada, gente a passeggio coi cani e bambini con le bici e in estate anche luogo per barbecue e feste di compleanno. La storia, anche se scomoda e difficile, è stata digerita e tutti la guardano, sanno cos’è, non la chiamano con un altro nome e non la imbellettano.
In un altro quartiere di Berlino c’è l’East Side Gallery, 1300 m di muro coperto da murales che lanciano messaggi di pace, sollecitano alla riflessione e al memento e raccontano, in vario modo, la storia del muro e della città prima di quel novembre 1989, un museo a cielo aperto permanente e cangiante. A parte qualche baracchino di imbarazzanti souvenir, il muro è integrato in un quartiere come tanti e i berlinesi ci passano davanti dandoci sempre uno sguardo, è un pezzo di storia per loro.
Il 9 novembre del 1989 avevo dieci anni e vidi, in un televisore a tubo catodico, una folla di persone che danzava su un muro in una città lontana: Berlino. A dieci anni non capivo perché tutta quella felicità per un muro abbattuto, ma intuivo che stavo guardando la storia, quella sarebbe finita sui libri e che al liceo avrei studiato.
A 26 anni dalla caduta del muro, camminando per le strade di Berlino si avverte che la città ha conquistato una profonda consapevolezza della sua storia, specie di quella conflittuale, una storia che non ha voluto rinnegare, non l’ha travestita da altro e non l’ha minimizzata, l’ha letta e ora ne fa la base per evolversi come comunità.
In Trentino sono sorte, qua e là, delle croci commemorative per le vittime della Grande Guerra, la prima. Scusatemi, sono croci che commemorano solo alcuni morti. Sembra che la versione storica di matrice e austroungarica sia la unica vera tradizione trentina.
In Trentino c’è una diatriba sul tema del raduno degli alpini, perché nel 2018 dovrebbe tenersi a Trento ma è l’anno della commemorazione della fine della prima guerra mondiale e pare che questo sia un affronto alla memoria dei morti in divisa austro-ungarica.
A 100 anni dall’inizio della prima guerra mondiale in Trentino siamo occupati a scegliere quale tradizione sia quella meritevole di commemorazione, quella dei Kaiserjäger o quella degli Alpini, quella della rettitudine e onestà austroungarica o quella del pressapochismo e della furbizia italiana. Sembra che la versione storica di matrice e austroungarica sia la unica vera tradizione trentina a sentire gli Schützen, a sentire gli Alpini la tradizione trentina è italiana, a sentirli tutti pare solo che gli altri son stati degli invasori e loro gli oppressi o i liberatori.
«La gente quando non capisce inventa e questo è molto pericoloso», ecco che la storia, difficile da comprendere nella sua interezza e contraddittorietà, la scindiamo in tante «tradizioni» soggette al un continuo maquillage e selezione che permette di ritagliarsi le verità a seconda di quanto fa comodo all’uno o all’altro gruppo di persone.
Nell’anno della ricorrenza dell’inizio della prima guerra mondiale qui siamo impegnati ad arroccarci a delle tradizioni restando intrappolati in una commemorazione.
Invece che piantare croci o battibeccare per l’appropriatezza o meno di una manifestazione di ex alpini, potremmo pensare a come rendere le nostre diverse piume un mezzo per fare pace con la storia e per affrancarci dalle tradizioni e cominciare ad evolverci dal passato disegnando insieme i contorni del quotidiano e del futuro.