Canal Grande e Pirellone: ecco la nuova macroregione alpina
Per avere qualche dubbio basta un'occhiata alla cartina della nuova macroregione alpina, che peraltro è una denominazione altisonante per quelle che dovrebbero essere le future strategie nella cornice europea di politiche riguardanti questi territori.
Di quali territori stiamo parlando? L'area della «Strategia Ue per la regione alpina» (Eusalp, lancio ufficiale il 25 gennaio) comprende in prevalenza grandi pianure (come quella Padana), litorali marini e zone metropolitane. E a celebrarla pensano, infatti, con grande dispendio di retorica, i governanti di istituzioni difficilmente definibili alpine, per esempio la Regione Lombardia o il Veneto.
Che cosa c'entrino Milano o Venezia in un'area di cooperazione trasnfrontaliera alpina lo sanno probabilmente solo i fantasiosi burocrati e politici di Bruxelles e i loro ispiratori nazionali e regionali neocentralisti, che ora potranno mettere in vetrina un nuovo manichino per mostrare che il negozio si rinnova malgrado dia l'impresisone di essere fuori dal tempo: che le istituzioni sono dinamiche e al servizio dei territori.
L'Eusalp sembra emozionare tanto i presidenti veneto e lombardo Zaia e Maroni quanto il sottosegretario bolzanino agli affari regionali Bressa. Giubilo trasversale.
Dal punto di vista delle popolazioni alpine, però, ci sono buone ragioni di preoccupazione, davanti alla nascita di uno strumento che con tutta evidenza destinerà finanziamenti e affiderà la cabina di regia a centri di potere che si trovano altrove, a politici eletti da cittadini di pianura per rispondere a esigenze e a logiche estranee e spesso ostili alla montagna.
L'Eusalp comprende aree che in totale fanno 70 milioni di abitanti: meno di uno su dieci, però, risiede nella fascia alpina, gli altri stanno nell grandi pianure industriali o nelle metropoli come Lione, Milano, Torino, Venezia o Monaco di Baviera...
Da quassù fra le cime diffiderei dei politici che ci vedono qualcosa da celebrare pomposamente.
Anziché assecondare questi disegni mortificanti l'Unione europea dovrebbe preoccuparsi di garantire a tutti i territori alpini un regime istituzionale differenziato, che consenta alle genti di montagna di fronteggiare e mitigare l'impatto delle diffuse politiche di omologazione socioeconomica che colpiscono sia la vita sociale sia il ruolo specifico della catena montuosa nel contesto continentale, impoverendo in questo senso tutta l'Europa.
Dunque, nel nome della corrispondenza fra dimensione geografica e contesto istituzionale, Bruxelles dovrebbe attuare azioni coercitive nei riguardi degli Stati nazionali affinché una forma di federalismo concreto consenta alle comunità alpine di decidere del proprio destino e di allearsi fra loro.
L'Italia in proposito è largamente inadempiente e varie aree alpine (per non dire degli Appennini) soffrono di un grave deficit di rappresentanza democratica, sono spogliate di potere locale e registrano da tempo le conseguenze di questa debolezza anche in termini di spopolamento.
Il governo Renzi ha accentuato questa deriva, sostanzialmente ignorando la questione, fatta eccezione per qualche clausula più o meno fumosa e scarsamente applicabile, inserita nelle riforme di segno centralista che umiliano una qualunque idea di federalismo, a maggior ragione quando si tratta di territori marginali e complessi da governare.
In questo quadro il sistema delle autonomia speciali potrebbe essere un riferimento per tentare di cambiare prospettiva e riportare al centro le esigenze delle popolazioni montane e la loro relazione con pianure e metropoli.
Peccato che le classi dirigenti «speciali» - vedi il Trentino Alto Adige - siano refrattarie e rifiutino di osservare lo scenario in quest'ottica. Perseverano nelle politiche di piccolo cabotaggio, mercanteggiano con Roma la sopravvivenza, abbondano anacronisticamente in retorica autonomistica e pantirolese e dopo si ammirano compiaciute l'ombelico.
Può darsi che ignorare una qualsivoglia visione politica alpina e confrontarsi preferibilmente con i poteri delle grandi pianure comporti qualche convenienza nel breve periodo; ma nel medio-lungo significa assecondare un processo che sta comprimendo a vista d'occhio i margini di manovra delle nostre comunità di montagna.
A Trento e in buona misura anche a Bolzano serve uno scatto nella cultura politica di montagna, che non è andar per sentieri o fare scialpinismo prima di sedersi in qualche consiglio elettivo.
La pattuglia parlamentare eletta in Trentino Alto Adige, al contrario, ha in larga parte appoggiato, talvolta anche con toni entusiastici, le pessime riforme centraliste varate dal governi Renzi, a cominciare dalla cancellazione delle province ordinarie (legge Delrio e poi riforma del titolo V della Costituzione).
E anche chi ha votato contro non si è certo segnalato per aver proposto una visione di largo respiro per rafforzare le fondamenta del sistema di potere che dovrà garantire la vita in questo fazzoletto alpino.
Certo, altri sono messi molto peggio. Senza andare troppo lontano: le province di Sondrio e di Belluno, i due territori interamente montani.
Da Belluno in particolare, situazione che conosco molto bene, da oltre dieci anni arriva un crescendo di sollecitazioni utili a estendere la visione politica. Ma sono sostanzialmente cadute nel vuoto, in termini di rielaborazione nell'agenda politica trentina.
La vicina provincia dolomitica soffre evidentemente di una innaturale collocazione istituzionale all'interno della Regione Veneto (della quale è solo il 5% della popolazione) e come noto, vedi i numerosi referendum di variazione territoriale, è attraversata da forti pulsioni separatiste che guardano in particolare al vicino e per molti versi affine Trentino Alto Adige.
Esistono anche movimenti ben strutturati, come Belluno autonoma Regione Dolomiti (Bard) che propongono come approdo finale la trasformazione di Belluno nella terza provincia del Trentino Alto Adige, sia pure con un proprio statuto specifico.
Una prospettiva che nelle intenzioni di chi la suggerisce rafforzerebbe anche Trento e Bolzano, in questo contesto minaccioso di confronto con le pressioni dei centri di potere politico e economico di stampo metropolitano e centralista.
Apparentemente il punto forte a favore di questa idea c'è, specie tenendo conto dello scenario generale ostile verso le aree periferiche.
Non so se questo progetto sia il più adatto o praticabile, di certo noto che la montana Belluno, al confine con l'Austria, se vuole darsi una politica rispondente ai suoi bisogni deve lasciare il Veneto guidato da un palazzo regionale affacciato sulla laguna delle gondole e dei vaporetti.
Ma noto pure che Trento e Bolzano, a loro volta, hanno bisogno di alleanze alpine e questa - in forme certamente da definire - è un'opportunità molto singificativa.
Perciò mi risulta incomprensibile, se non come indicatore di una scarsa cultura politica della montagna, il diffuso silenzio delle classi dirigenti trentine sulle prospettive concrete di confederazione con il Bellunese.
Dimenticavo: a denunciare formalmente all'Unione europea le assurde sperequazioni istituzionali dell'Eusalp a trazione metropolitano-marittina non sono state i politici delle autonomie speciali, ma i montanari del Bard.