I fiori del male e il grido di Romero
I fiori del male e il grido di Romero
«Vivere per sempre/ ci vuole coraggio./ Datti al giardinaggio/ dei fiori del male». Ci sono tanti che danno retta al Baudelaire dei Baustelle e si dedicano con entusiasmo esplosivo alla coltivazione dei «fleurs du mal». Un nuovo assaggio del perverso giardinaggio lo abbiamo avuto l'altroieri, secondo giorno di primavera, in quella che era la tranquilla, civile Bruxelles (attrazioni principali, la statuetta di un bambino che fa pipì, il Manneken Pis, e fiumi di ottime birre monacali; per dire).
I fiori del male crescono rigogliosi, nel giardino d'Europa, e come il rabbi di Nazareth tollerò che la zizzania crescesse insieme al grano, i prepotenti con i deboli, gli oppressori con gli oppressi, i cattivi con i buoni (e tra Israele e Palestina si continua a morire così, nell'assuefatta nostra distrazione), così ci si dovrà rassegnare al fatto che - anche schierando soldati, telecamere e droni a milioni - aumenta la probabilità di morire ammazzati anche nel nostro continente, come in Africa, Asia e America latina sanno, sulla loro pelle, da molti anni. La violazione sanguinosa del quinto comandamento piace un sacco. Freudiane pulsioni di morte spesso prevalgono sull'amore per la vita. Quando la smetteremo di scannarci a vicenda? Se lo sono chiesti, in canzoni ventose, Dylan e Guccini («Io chiedo quando sarà/ che l'uomo potrà imparare/ a vivere senza ammazzare/ e il vento si poserà»). Se l'è chiesto un grande poeta come padre David Maria Turoldo, in memoria del vescovo Romero che proprio oggi, 24 marzo, 36 anni fa, veniva ammazzato sull'altare dell'hospedalito di San Salvador, lui che aveva chiesto ai militari e agli squadroni della morte di non uccidere: «In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, / vi ordino: non uccidete! / Soldati, gettate le armi... / Chi ti ricorda ancora, / fratello Romero? Ucciso infinite volte / dal loro piombo e dal nostro silenzio. ?/ Ucciso perché fatto popolo: / ucciso perché facevi / cascare le braccia / ai poveri armati, / più poveri degli stessi uccisi: / per questo ancora e sempre ucciso./ ? Sarà sempre così, Signore?».
Proprio a pochi chilometri da Bruxelles, ricevendo la laurea honoris causa nella nobile e colta Lovanio, poche settimane prima di essere ammazzato, san Romero d'America (che stasera sarà rievocato al rito del giovedì santo nella chiesa di San Carlo alla Clarina di Trento) ci ricorda che, se a Bruxelles si muore d'un colpo, di morte terroristica, in altre parti del mondo si muore più lentamente e silenziosamente, di ingiustizia oltre che di guerra: «Tra noi - diceva, gridava quasi Romero, ex conservatore convertito dai poveri - continuano a essere vere le terribili parole dei profeti di Israele. Esistono tra noi quanti vendono il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; quanti accumulano violenza e rapina nei loro palazzi; quanti schiacciano i poveri; quanti affrettano il sopravvento della violenza, sdraiati su letti di avorio; quanti aggiungono casa a casa e annettono campo a campo, fino a occupare tutto lo spazio e restare da soli nel paese. Questi testi dei profeti Amos e Isaia non sono voci lontane... Sono realtà quotidiane. Le viviamo quando vengono da noi madri e spose di prigionieri e di scomparsi, quando appaiono cadaveri sfigurati in cimiteri clandestini, quando sono uccisi coloro che lottano per la giustizia e per la pace». Piangendo le morti rapide degli innocenti inferte dalla follia terroristica, ecco, si potrebbe rammentare Romero e non dimenticare la morte lenta prodotta dall'oppressione strutturale, di cui le maree dei profughi sui bagnasciuga d'Europa sono l'onda lunga. La risposta al giardinaggio dei fiori del male non può essere solo «più sicurezza». E la giustizia?