Cosa rimane della Smart City Week
Cosa rimane della Smart City Week
Il segnalare la complessità dell’argomento non vuole essere un atto d’indulgenza preventiva verso la classe politica. E neppure un segno di «cedimento» di fronte alle difficoltà, che pure esiste ed è evidente, nel far fronte alle sfide che i contesti urbani - e non solo - ci propongono. L’azione di governo delle città è argomento di discussione (e oggetto di messa alla prova quotidiana) che richiama una variegata articolazione di questioni, figlie di una complessità urbanistica e sociale che non può sfuggire neppure a uno sguardo superficiale, a meno che non si voglia ridurre la gestione dello spazio urbano, e delle relazioni a esso connesse, a pura e semplice ordinaria amministrazione, nel senso più deteriore e pericoloso del termine.
Baudelaire scriveva che «la forma di una città cambia più in fretta, ahimé, del cuore degli umani». Affermazione che potrà apparire banale, ma che fotografa efficacemente il contesto dentro il quale siamo chiamati a muoverci oggi, laddove l’ipotesi della smart city (la città intelligente) non riguarda esclusivamente l’infrastruttura tecnologica che innerva vie, piazze, parchi palazzi e istituzioni ma anche le caratteristiche fondamentali del vivere insieme, della dimensione di comunità, del concetto stesso di democrazia e partecipazione. Una «rivoluzione» capace di scalare rapidamente la classifica delle priorità nell’agenda politica di amministratori e ricercatori (tecnologici e sociali) e di scatenare - sull’altro lato - campanelli d’allarme e riflessioni non allineate all’ineluttabilità del predominio delle reti e delle high tech. Ultima in ordine di tempo - anticipazione di un libro di prossima uscita - quella di Richard Sennett che alle smart cities, intese come «sistemi chiusi, con funzioni, forme e usi tecnologici definiti» contrappone «un sistema aperto portatore di maggiore contingenza, maggiore ambiguità, maggiore differenza, e dunque minore determinazione, prevedibilità, omogeneità e coerenza». Un modello e che pone al centro i temi delle relazioni sociali e dei processi culturali e che «richiede ogni giorno molta capacità di interpretazione, perché implica il cambiamento».
Di questi argomenti - a pochi giorni dalla chiusura della Smart City Week - abbiamo parlato con l’Assessora Comunale Chiara Maule, approffittando di una serie di domande che Stefano Fait - membro di -skopìa, società di consulenza specializzata in anticipazioni e attento osservatore dei contesti locali e globali - ha prodotto a poche ore dalla chiusura dell’evento che ha animato Piazza Duomo e il centro storico della città. Chi meglio di un futurologo può aiutarci, attivando lo spirito critico di una comunità, a guardare oltre la stressa attualità dentro i processi che ci condurranno a esso con maggior consapevolezza e con strumenti più adeguati.
Finita la Smart City Week. Quali erano le attese? Quali i risultati di questa full immersion nel futuro del vivere urbano?
Sono molto contenta del risultato. Sono orgogliosa che alla fine ci siamo riusciti, perché all’inizio non ci credeva quasi nessuno. Sono soddisfatta soprattutto di essere riuscita a organizzare due giornate dedicate ai cittadini. Sono state la nostra scommessa, la nostra particolarità.
Ero presente all’appuntamento di Guadalajara. L’organizzazione era stata centrata soprattutto sulla parte scientifica, interessantissima e con un sacco di spunti, fatta di grandi visioni sul futuro. Io però sono amministratrice di una piccola città e mi ero accorta che in questo percorso ciò che trovavo più faticoso era far passare il messaggio che anche Trento è una città smart. Gli stessi giornalisti non raccoglievano la notizia, che invece a me sembrava di non secondaria importanza. Mi chiedevo cosa sfuggisse loro e mi sono detta - insieme al Sindaco - che la scommessa di questa Smart City è l’idea che ci possa essere un cammino fatto dalle persone che si sentano parte di un cambiamento. Altrimenti permane uno scollamento tra un mondo che lavora sul tema e produce importanti innovazioni, risultati che poi però non è in grado di tradurre, perché non può o non lo sa fare. Serve costruire un substrato di conoscenza condivisa.
Una sorta di abilitazione diffusa all’essere smart? Ma come si può farlo?
Ci siamo detti, raccontiamo quello che già facciamo. Partendo da Comune, Provincia, Consorzio dei Comuni, Fbk, Università...gli attori istituzionali insomma. Ma i cittadini, le piccole startup, il ragazzo che esce dall’Università avranno un’idea? Avranno voglia di venire a condividerla? Abbiamo aperto una call rivolta alla città. Solo pochi non hanno trovato spazio, tutti gli altri sono entrati nel programma e una quarantina di proposte hanno avuto quaranta minuti per presentarsi. Un primo modo di produrre una mappa dell’esistente e renderla conosciuta all’intera popolazione.
C’è qualcosa che rimane impresso di questa occasione di approfondimento e incontro?
Tre cose. La prima nel percorso fatto con i cittadini. Hanno risposto, questo vuol dire che l’interesse c’è, almeno per capire. La seconda si riferisce al bando rivolto alle realtà territoriali. Ci sono state molte proposte, si sono presentate e hanno dialogato con la città. La terza - per nulla scontata - è che abbiamo costruito l’ evento con cinque soggetti importanti - Comune, Provincia, Consorzio dei Comuni, Fbk, Università - che spesso faticano a dialogare fra loro. Non perché manchi la volontà politica, personale o perché non vogliono creare una sinergia fra loro ma semplicemente perché sono mondi che sono nati fra loro separati e riuscire a portarli tutti in piazza Duomo è stato per noi un grande valore aggiunto. L’idea della Smart City è proprio quella delle messa alla prova delle reti, che si passano le informazioni e costruiscono un progetto comune.
Un momento divertente all’interno delle tante ore passate in città?
Beh, due delle persone con cui ho lavorato e che hanno sostenuto questo progetto mi facevano già - durante la seconda giornata dell’evento - la proiezione di cosa dovremmo fare la prossima volta. Come migliorare. Al secondo giorno, con ancora quattro davanti, eravamo stanchi morti e già qualcuno pensava alle possibili evoluzioni del progetto.
E poi, da un altro punto di vista, la presenza del centro anziani che ha sede in via Belenzani. E’ venuto un gruppo di quindici persone per capire dalla A alla Z cosa facevamo. Persone sui settant’anni, tra cui una signora che voleva sapere come funzionava l’app per la mobilità cittadina. La signora ha agganciato uno dei ragazzi che gestivano il punto informativo e finché non gli ha fatto vedere sul computer dove si doveva schiacciare, come funzionava non si è mossa di lì.
Veniamo alla smart city e a ad alcune delle domande che Stefano Fait ha pubblicato sul suo canale Medium e che ci aiutano a entrare nel cuore della questione. Chi sono i protagonisti nell’allestimento della smart city? Chi ci guadagna di più dalla trasformazione in corso? Chi stabilisce quale sia la visione prevalente, lo scenario futuro più gradito? Siamo sicuri che non saranno considerazioni legate alla massimizzazione del profitto a dirigere queste iniziative?
I partner del progetto Smart City Week sono Comune di Trento, Provincia, Consorzio dei Comuni, Fbk e Università. Le tre sessioni hanno anche permesso di dare spazio alle aziende - trentine e non - ed è certamente un modo per fare business, conoscendosi tra loro e scambiandosi informazioni e notizie. Ho chiesto anche di organizzare un piccolo tavolo di confronto dedicato agli amministratori locali. Erano presenti Pegognaga, una realtà davvero molto piccola, Trento e Milano. Esperienze molto diversi tra loro e anche dal racconto degli Assessori è emerso che c’è una parte di business e di attori privati dietro il processo, ma è altrettanto vero che molto dipende da come esso viene incanalato e gestito. Faccio un esempio. Il giorno in cui abbiamo incontrato le altre città selezionate a livello mondiale da IEEE, mi ha colpito la presentazione della città di Wuxi, una città cinese. Tutta tecnologica, quindi un’idea di città e di mondo priva di rapporti sociali come se tutto funzionasse bene quando la piattaforma tecnologica è attiva. Investo tutto in questa parte e organizzo la vita dei cittadini. Non capivo il cinese però le immagini che scorrevano davano l’impressione di una vita costruita sulle macchine. La Smart City è sì tecnologia ma soprattutto la vita sociale delle persone. La tecnologia al servizio dei cittadini e non il contrario.
Il mondo della smart city porta con se certamente interessi economici e quindi anche aziende pronte a farli propri però nulla mi toglie dalla testa che sia la politica a dover far la differenza chiedendosi quanto le tecnologie possono e devono influenzare la vita degli uomini e delle donne.
Storicamente alterità ed utopia non possono convivere: l’impulso ordinatore ha sempre finito per sfociare nel desiderio di eliminare ciò che stona. Come si scongiura il rischio di un’intossicazione estetica per cui la città viene vista come un sistema chiuso che si auto-legittima, si compiace di sé (si sente dalla parte del vero, del buono e del giusto), venera se stesso (totemizzazione), fatica a tollerare l’anomalo, il contingente, il diverso, pretende sempre maggiore coerenza, ordine, unitarietà, formalismo, razionalizzazione, proceduralizzazione, purezza, nettezza, appropriatezza, meccanicità, programmabilità, esemplarità, prevedibilità, attendibilità, a detrimento dell’incontenibile pluralità del reale; in breve, una società organizzata come una macchina con ingranaggi ben oliati?
Siamo in 1984 di Orwell ed è evidente che se quella è la prospettiva non si può che essere inquieti. Certo rimarranno gruppi di persone borderline, ma quelle stesse persone di solito tengono aperte le possibilità di innovare, la fantasia e l’idea che si possa pensare qualcosa in una maniera diversa e cercare di capire se quell’approccio altro possa funzionare. Io vedo davvero le tecnologie come la possibilità di toglierci incombenze noiose, legate alle esigenze organizzative della città. E’ una razionalizzazione delle risorse che non può esaurire le differenze, le sfumature, le specificità.
Si può contestare la premessa che la vita umana debba e possa essere sottoposta a dei parametri di efficienza tecnica? Non è forse questa una delle principali radici dei gravi problemi del nostro tempo?
È una questione che è emersa in più incontri. Il tema della valutazione la aggancerei al fatto che bisogna partire da un ragionamento collegato al tema delle risorse. Perché bisogna mettere a valore le potenzialità delle tecnologie? Perché le risorse non sono infinite. Credendo fossero infinite abbiamo immaginato che il nostro modello di sviluppo potesse procedere linearmente, senza limit. Adesso stiamo andando a sbattere contro un muro. Se prima le cose si potevano fare anche il giorno dopo, in ritardo, ora le scadenze si fanno più pressanti. Abbiamo bisogno di maggiore efficienza. Questo approccio non può portare alla lesione della libertà individuale però è chiaro segnale che dobbiamo diventare più responsabili. Stiamo chiedendo a cittadini una fatica, perché so che se prendiamo tutti quelli che fanno l’iscrizione online al nido la metà direbbe che preferisce continuare con il modulo cartaceo. Abbiamo bisogno di ragionare anche su un piano complessivo di coinvolgimento della comunità verso gli stessi obiettivi.
Una notevole porzione della cittadinanza non sarà mai smart a sufficienza. Ci sono gli anziani, ci sono i poveri, ci sono gli immigrati, ma c’è anche un crescente numero di persone che sta cercando di staccarsi dalla rete o quantomeno ridurre drasticamente il tempo trascorso sugli schermi (es. Hayao Miyazaki). Non è forse un diritto non essere smart? Che ne sarà di loro, diventeranno cittadini di seconda classe? Come ci si porrà nei confronti di chi è in disaccordo senza imporre uno schema di progressiva uniformazione dei gusti e delle sensibilità?
Questo è un rischio oggettivo di cui abbiamo già parlato. Se a casa tua non arriva la connessione veloce cosa fai? O se decidi di non volerla? Non abbiamo già la risposta ma è certo che non vogliamo che nessuno rimanga da solo. Non immaginiamo di promuovere i servizi soltanto per chi può (o vuole), dobbiamo farci carico anche di chi resta ai margini.
Qualcuno ha immaginato un progetto da costruire con l’ufficio Beni Comuni per offrire lezioni ad anziani che hanno voglia di cimentarsi con il computer e capire bene come formarsi. Certo ci saranno solo gli anziani un po’ più “attivi” mentre ci sarà una quota che comunque resterà fuori. Noi dobbiamo immaginare che per questi ci sia il percorso B, e questo è un fatto che terremo a mente anche quando andremo a strutturare la prosecuzione dei progetti in essere.
Invece di rendere più smart le città, non sarebbe più utile e intelligente rendere più informate, indipendenti, consapevoli e perciò responsabili le persone, sviluppando forme di democrazia partecipata sempre più avanzate? Ricorrere alle macchine non è una dichiarazione di sfiducia nei confronti degli elettori?
Dentro la manifestazione di settimana scorsa abbiamo avuto incontri anche con le politiche sociali e giovanili, a conferma di una voglia di non restringere il campo a una dimensione tecnicista della smart city. È vero che i ragazzi adesso scrivono dai loro smartphone sui social network, però quando bisogna tentare di raggiungere un obiettivo si parlano, si cercano e si vedono. Io non credo che una macchina potrà mai sostituire una processo democratico di questo tipo. Nella domanda emerge una provocazione - che raccolgo - del fatto di poter stare a lato dei processi di informatizzazione, fare a meno dell’innovazione tecnologica. Come amministratore io devo dialogare con il mondo che si muove attorno a me, non posso scappare dalla realtà ma devo capire se attraverso la tecnologia posso agganciare più persone e in questo modo includerle anche in pratiche maggiormente partecipative di governo dei fenomeni cittadini.
Quali saranno gli obiettivi di Trento Città Intelligente? Un’entità così eterogenea, contraddittoria e tendenzialmente non-gerarchica come una città può realisticamente porsi degli specifici obiettivi, come se fosse un’impresa?
La Smart City Week ci ha detto che Trento ha voglia di fare un percorso e vuole capire di cosa si tratta. Il vantaggio per i cittadini è quello di aver un’amministrazione più snella. In questo le tecnologie possono supportarci, a patto che anche i componenti dell’amministrazione pubblica facciano un percorso in questa direzione. Questo può essere un obiettivo importante, parallelamente ad azioni che «sfidino» il cittadino. Per non lasciare indietro nessuno devono essere percorsi semplici, tali da far sì che si capisca subito il problema e l’opportunità. L’amministrazione deve proporre, agire ma deve anche ascoltare e supportare i cittadini.
Federico Zappini
Il segnalare la complessità dell'argomento non vuole essere un atto d'indulgenza preventiva verso la classe politica. E neppure un segno di "cedimento" di fronte alle difficoltà, che pure esiste ed è evidente, nel far fronte alle sfide che i contesti urbani - e non solo - ci propongono. L'azione di governo delle città è argomento di discussione (e oggetto di messa alla prova quotidiana) che richiama una variegata articolazione di questioni, figlie di una complessità urbanistica e sociale che non può sfuggire neppure a uno sguardo superficiale, a meno che non si voglia ridurre la gestione dello spazio urbano, e delle relazioni a esso connesse, a pura e semplice ordinaria amministrazione, nel senso più deteriore e pericoloso del termine.
Baudelaire scriveva che "la forma di una città cambia più in fretta, ahimé, del cuore degli umani". Affermazione che potrà apparire banale, ma che fotografa efficacemente il contesto dentro il quale siamo chiamati a muoverci oggi, laddove l'ipotesi della smart city (la città intelligente) non riguarda esclusivamente l'infrastruttura tecnologica che innerva vie, piazze, parchi palazzi e istituzioni ma anche le caratteristiche fondamentali del vivere insieme, della dimensione di comunità, del concetto stesso di democrazia e partecipazione. Una "rivoluzione" capace di scalare rapidamente la classifica delle priorità nell'agenda politica di amministratori e ricercatori (tecnologici e sociali) e di scatenare - sull'altro lato - campanelli d'allarme e riflessioni non allineate all'ineluttabilità del predominio delle reti e delle high tech. Ultima in ordine di tempo - anticipazione di un libro di prossima uscita - quella di Richard Sennett che alle smart cities, intese come "sistemi chiusi, con funzioni, forme e usi tecnologici definiti" contrappone "un sistema aperto portatore di maggiore contingenza, maggiore ambiguità, maggiore differenza, e dunque minore determinazione, prevedibilità, omogeneità e coerenza". Un modello e che pone al centro i temi delle relazioni sociali e dei processi culturali e che "richiede ogni giorno molta capacità di interpretazione, perché implica il cambiamento."
Di questi argomenti - a pochi giorni dalla chiusura della Smart City Week - abbiamo parlato con l'Assessora Comunale Chiara Maule, approffittando di una serie di domande che Stefano Fait - membro di -skopìa, società di consulenza specializzata in anticipazioni e attento osservatore dei contesti locali e globali - ha prodotto a poche ore dalla chiusura dell'evento che ha animato Piazza Duomo e il centro storico della città. Chi meglio di un futurologo può aiutarci, attivando lo spirito critico di una comunità, a guardare oltre la stressa attualità dentro i processi che ci condurranno a esso con maggior consapevolezza e con strumenti più adeguati.
Finita la Smart City Week. Quali erano le attese? Quali i risultati di questa full immersion nel futuro del vivere urbano?
Sono molto contenta del risultato. Sono orgogliosa che alla fine ci siamo riusciti, perché all’inizio non ci credeva quasi nessuno. Sono soddisfatta soprattutto di essere riuscita a organizzare due giornate dedicate ai cittadini. Sono state la nostra scommessa, la nostra particolarità.
Ero presente all'appuntamento di Guadalajara. L’organizzazione era stata centrata soprattutto sulla parte scientifica, interessantissima e con un sacco di spunti, fatta di grandi visioni sul futuro. Io però sono amministratrice di una piccola città e mi ero accorta che in questo percorso ciò che trovavo più faticoso era far passare il messaggio che anche Trento è una città smart. Gli stessi giornalisti non raccoglievano la notizia, che invece a me sembrava di non secondaria importanza. Mi chiedevo cosa sfuggisse loro e mi sono detta - insieme al Sindaco - che la scommessa di questa Smart City è l’idea che ci possa essere un cammino fatto dalle persone che si sentano parte di un cambiamento. Altrimenti permane uno scollamento tra un mondo che lavora sul tema e produce importanti innovazioni, risultati che poi però non è in grado di tradurre, perché non può o non lo sa fare. Serve costruire un substrato di conoscenza condivisa.
Una sorta di abilitazione diffusa all'essere smart? Ma come si può farlo?
Ci siamo detti, raccontiamo quello che già facciamo. Partendo da Comune, Provincia, Consorzio dei Comuni, Fbk, Università...gli attori istituzionali insomma. Ma i cittadini, le piccole startup, il ragazzo che esce dall’Università avranno un’idea? Avranno voglia di venire a condividerla? Abbiamo aperto una call rivolta alla città. Solo pochi non hanno trovato spazio, tutti gli altri sono entrati nel programma e una quarantina di proposte hanno avuto quaranta minuti per presentarsi. Un primo modo di produrre una mappa dell'esistente e renderla conosciuta all'intera popolazione.
C'è qualcosa che rimane impresso di questa occasione di approfondimento e incontro?
Tre cose. La prima nel percorso fatto con i cittadini. Hanno risposto, questo vuol dire che l’interesse c’è, almeno per capire. La seconda si riferisce al bando rivolto alle realtà territoriali. Ci sono state molte proposte, si sono presentate e hanno dialogato con la città. La terza - per nulla scontata - è che abbiamo costruito l’ evento con cinque soggetti importanti - Comune, Provincia, Consorzio dei Comuni, Fbk, Università - che spesso faticano a dialogare fra loro. Non perché manchi la volontà politica, personale o perché non vogliono creare una sinergia fra loro ma semplicemente perché sono mondi che sono nati fra loro separati e riuscire a portarli tutti in piazza Duomo è stato per noi un grande valore aggiunto. L'idea della Smart City è proprio quella delle messa alla prova delle reti, che si passano le informazioni e costruiscono un progetto comune.
Un momento divertente all'interno delle tante ore passate in città?
Beh, due delle persone con cui ho lavorato e che hanno sostenuto questo progetto mi facevano già - durante la seconda giornata dell'evento - la proiezione di cosa dovremmo fare la prossima volta. Come migliorare. Al secondo giorno, con ancora quattro davanti, eravamo stanchi morti e già qualcuno pensava alle possibili evoluzioni del progetto.
E poi, da un altro punto di vista, la presenza del centro anziani che ha sede in via Belenzani. E' venuto un gruppo di quindici persone per capire dalla A alla Z cosa facevamo. Persone sui settant’anni, tra cui una signora che voleva sapere come funzionava l'app per la mobilità cittadina. La signora ha agganciato uno dei ragazzi che gestivano il punto informativo e finché non gli ha fatto vedere sul computer dove si doveva schiacciare, come funzionava non si è mossa di lì.
Veniamo alla smart city e a ad alcune delle domande che Stefano Fait ha pubblicato sul suo canale Medium e che ci aiutano a entrare nel cuore della questione. Chi sono i protagonisti nell'allestimento della smart city? Chi ci guadagna di più dalla trasformazione in corso? Chi stabilisce quale sia la visione prevalente, lo scenario futuro più gradito? Siamo sicuri che non saranno considerazioni legate alla massimizzazione del profitto a dirigere queste iniziative?
I partner del progetto Smart City Week sono Comune di Trento, Provincia, Consorzio dei Comuni, Fbk e Università. Le tre sessioni hanno anche permesso di dare spazio alle aziende - trentine e non - ed è certamente un modo per fare business, conoscendosi tra loro e scambiandosi informazioni e notizie. Ho chiesto anche di organizzare un piccolo tavolo di confronto dedicato agli amministratori locali. Erano presenti Pegognaga, una realtà davvero molto piccola, Trento e Milano. Esperienze molto diversi tra loro e anche dal racconto degli Assessori è emerso che c’è una parte di business e di attori privati dietro il processo, ma è altrettanto vero che molto dipende da come esso viene incanalato e gestito. Faccio un esempio. Il giorno in cui abbiamo incontrato le altre città selezionate a livello mondiale da IEEE, mi ha colpito la presentazione della città di Wuxi, una città cinese. Tutta tecnologica, quindi un’idea di città e di mondo priva di rapporti sociali come se tutto funzionasse bene quando la piattaforma tecnologica è attiva. Investo tutto in questa parte e organizzo la vita dei cittadini. Non capivo il cinese però le immagini che scorrevano davano l’impressione di una vita costruita sulle macchine. La Smart City è sì tecnologia ma soprattutto la vita sociale delle persone. La tecnologia al servizio dei cittadini e non il contrario.
Il mondo della smart city porta con se certamente interessi economici e quindi anche aziende pronte a farli propri però nulla mi toglie dalla testa che sia la politica a dover far la differenza chiedendosi quanto le tecnologie possono e devono influenzare la vita degli uomini e delle donne.
Storicamente alterità ed utopia non possono convivere: l’impulso ordinatore ha sempre finito per sfociare nel desiderio di eliminare ciò che stona. Come si scongiura il rischio di un’intossicazione estetica per cui la città viene vista come un sistema chiuso che si auto-legittima, si compiace di sé (si sente dalla parte del vero, del buono e del giusto), venera se stesso (totemizzazione), fatica a tollerare l’anomalo, il contingente, il diverso, pretende sempre maggiore coerenza, ordine, unitarietà, formalismo, razionalizzazione, proceduralizzazione, purezza, nettezza, appropriatezza, meccanicità, programmabilità, esemplarità, prevedibilità, attendibilità, a detrimento dell’incontenibile pluralità del reale; in breve, una società organizzata come una macchina con ingranaggi ben oliati?
Siamo in 1984 di Orwell ed è evidente che se quella è la prospettiva non si può che essere inquieti. Certo rimarranno gruppi di persone borderline, ma quelle stesse persone di solito tengono aperte le possibilità di innovare, la fantasia e l’idea che si possa pensare qualcosa in una maniera diversa e cercare di capire se quell'approccio altro possa funzionare. Io vedo davvero le tecnologie come la possibilità di toglierci incombenze noiose, legate alle esigenze organizzative della città. E' una razionalizzazione delle risorse che non può esaurire le differenze, le sfumature, le specificità.
Si può contestare la premessa che la vita umana debba e possa essere sottoposta a dei parametri di efficienza tecnica? Non è forse questa una delle principali radici dei gravi problemi del nostro tempo?
È una questione che è emersa in più incontri. Il tema della valutazione la aggancerei al fatto che bisogna partire da un ragionamento collegato al tema delle risorse. Perché bisogna mettere a valore le potenzialità delle tecnologie? Perché le risorse non sono infinite. Credendo fossero infinite abbiamo immaginato che il nostro modello di sviluppo potesse procedere linearmente, senza limit. Adesso stiamo andando a sbattere contro un muro. Se prima le cose si potevano fare anche il giorno dopo, in ritardo, ora le scadenze si fanno più pressanti. Abbiamo bisogno di maggiore efficienza. Questo approccio non può portare alla lesione della libertà individuale però è chiaro segnale che dobbiamo diventare più responsabili. Stiamo chiedendo a cittadini una fatica, perché so che se prendiamo tutti quelli che fanno l’iscrizione online al nido la metà direbbe che preferisce continuare con il modulo cartaceo. Abbiamo bisogno di ragionare anche su un piano complessivo di coinvolgimento della comunità verso gli stessi obiettivi.
Una notevole porzione della cittadinanza non sarà mai smart a sufficienza. Ci sono gli anziani, ci sono i poveri, ci sono gli immigrati, ma c’è anche un crescente numero di persone che sta cercando di staccarsi dalla rete o quantomeno ridurre drasticamente il tempo trascorso sugli schermi (es. Hayao Miyazaki). Non è forse un diritto non essere smart? Che ne sarà di loro, diventeranno cittadini di seconda classe? Come ci si porrà nei confronti di chi è in disaccordo senza imporre uno schema di progressiva uniformazione dei gusti e delle sensibilità?
Questo è un rischio oggettivo di cui abbiamo già parlato. Se a casa tua non arriva la connessione veloce cosa fai? O se decidi di non volerla? Non abbiamo già la risposta ma è certo che non vogliamo che nessuno rimanga da solo. Non immaginiamo di promuovere i servizi soltanto per chi può (o vuole), dobbiamo farci carico anche di chi resta ai margini.
Qualcuno ha immaginato un progetto da costruire con l'ufficio Beni Comuni per offrire lezioni ad anziani che hanno voglia di cimentarsi con il computer e capire bene come formarsi. Certo ci saranno solo gli anziani un po' più “attivi” mentre ci sarà una quota che comunque resterà fuori. Noi dobbiamo immaginare che per questi ci sia il percorso B, e questo è un fatto che terremo a mente anche quando andremo a strutturare la prosecuzione dei progetti in essere.
Invece di rendere più smart le città, non sarebbe più utile e intelligente rendere più informate, indipendenti, consapevoli e perciò responsabili le persone, sviluppando forme di democrazia partecipata sempre più avanzate? Ricorrere alle macchine non è una dichiarazione di sfiducia nei confronti degli elettori?
Dentro la manifestazione di settimana scorsa abbiamo avuto incontri anche con le politiche sociali e giovanili, a conferma di una voglia di non restringere il campo a una dimensione tecnicista della smart city. È vero che i ragazzi adesso scrivono dai loro smartphone sui social network, però quando bisogna tentare di raggiungere un obiettivo si parlano, si cercano e si vedono. Io non credo che una macchina potrà mai sostituire una processo democratico di questo tipo. Nella domanda emerge una provocazione - che raccolgo - del fatto di poter stare a lato dei processi di informatizzazione, fare a meno dell'innovazione tecnologica. Come amministratore io devo dialogare con il mondo che si muove attorno a me, non posso scappare dalla realtà ma devo capire se attraverso la tecnologia posso agganciare più persone e in questo modo includerle anche in pratiche maggiormente partecipative di governo dei fenomeni cittadini.
Quali saranno gli obiettivi di Trento Città Intelligente? Un’entità così eterogenea, contraddittoria e tendenzialmente non-gerarchica come una città può realisticamente porsi degli specifici obiettivi, come se fosse un’impresa?
La Smart City Week ci ha detto che Trento ha voglia di fare un percorso e vuole capire di cosa si tratta. Il vantaggio per i cittadini è quello di aver un’amministrazione più snella. In questo le tecnologie possono supportarci, a patto che anche i componenti dell'amministrazione pubblica facciano un percorso in questa direzione. Questo può essere un obiettivo importante, parallelamente ad azioni che "sfidino" il cittadino. Per non lasciare indietro nessuno devono essere percorsi semplici, tali da far sì che si capisca subito il problema e l'opportunità. L’amministrazione deve proporre, agire ma deve anche ascoltare e supportare i cittadini.