Otto, Anna e le 285 cartoline
Otto, Anna e le 285 cartoline
A che cosa servono, 18 cartoline scritte a stampatello contro l’hitlerismo e le sue menzogne? Solo diciotto, sulle 285 scritte tra la primavera 1940 e il settembre 1942 da Otto Hampel e da sua moglie Elise - 43 anni lui, 37 lei - e da loro lasciate sulle scale o nelle cassette delle lettere di uffici pubblici o palazzi d’abitazione, a Berlino nel loro quartiere di Wedding e nelle zone vicine, non finirono sul tavolo del funzionario della Gestapo incaricato di scoprire chi era il «fantasma» che offendeva il dittatore, lo accusava di aver massacrato lo Stato di diritto e la gioventù tedesca, chiamava i cittadini alla ribellione.
Dunque, 267 cartoline «disfattiste» e «antipatriottiche» consegnate alla polizia o ai volonterosi carnefici della Nsdap, il partito nazionalsocialista. E le altre 18? Quanti avranno avuto il coraggio di conservarle? Quanti ne avranno scritta un’altra, per unirsi a quel nobile e disperato tentativo di controinformazione, di «freie Presse», libera stampa in forma di povere cartoline clandestine?
Ma il valore della resistenza non si fonda sui numeri, sulla contabilità delle azioni. Ed è bello allora che, oltre settant’anni dopo, la storia degli Hampel sia diventata un film, asciutto e non retorico ma coinvolgente, «Lettere da Berlino», ora nelle sale. I protagonisti Otto e Anna Quangel - l’irlandese Brendan Gleeson e l’inglese Emma Thompson, esemplari nella loro recitazione sottomisura - sono sulla sessantina e dunque meno giovani dei veri coniugi Hampel, ma il film è basato sui personaggi di un’altra opera di quasi finzione, il gran romanzo di Hans Fallada, «Ognuno muore solo», che raccontò ai sopravvissuti della seconda guerra mondiale che a Berlino non c’era solo la testa di Medusa del potere nazista ma anche piccole, eroiche cellule di resistenza al male.
La coppia delle cartoline clandestine non era una coppia di intellettuali: capo officina di falegnameria lui, casalinga con la licenza elementare lei. Un figlio in divisa della Wehrmacht ucciso in un bosco francese, durante la gloriosa campagna d’Occidente, ed ecco la decisione di ribellarsi, di fare qualcosa. «E se le tue cartoline non servissero a nulla? Se non convincessero nessuno?» chiede Anna, ancora dubbiosa all’inizio dell’impresa. «Io le scrivo e non mi sono mai sentito così libero» risponde Otto.
La stessa tranquilla determinazione degli studenti della Rosa Bianca, che proprio in quei mesi scrivevano i loro volantini a Monaco di Baviera (in «Lettere da Berlino» anche le cartoline dei Quangel volano, alla fine, in una poetica allusione alla Weisse Rose). E che, come i Quangel, finiranno sotto la ghigliottina della Corte di giustizia popolare.
«Qualche lettore - scriveva Fallada nel 1946 nella prefazione al romanzo, che uscirà postumo un anno dopo e dunque è il suo testamento - troverà forse che in questo libro si muore e si tormenta un po’ troppo... Negli anni fra il 1940 e il 1942, e prima e dopo di essi le morti erano piuttosto frequenti. Un buon terzo del romanzo si svolge nelle prigioni e nei manicomi, e anche qui la morte era un fatto consueto. Spesso l’autore si è rammaricato di dover tracciare un quadro così fosco; ma una maggiore luce sarebbe stata una menzogna».
«Una piccola luce» s’intitola l’epistolario della famiglia Scholl dopo la decapitazione della Rosa Bianca. Per chi resiste, non importa il risultato, il successo dell’avventura. La disobbedienza politica si realizza già nel gesto di dissociazione da un regime totalitario, già nella ribellione, nel tentativo di riscossa, nell’obiezione di coscienza, nel sogno proibito. Al di qua degli esiti. E anche se, alla fine, «ognuno muore solo», si lotta meglio insieme.
E se è meglio essere in cinque, in sette, in dieci (come la Rosa Bianca), in fondo basta essere in due.
Gli Hampel/Quangel non furono gli unici, a trasformare l’amore coniugale in nucleo di lotta al sistema: come le due straordinarie coppie di quella rete resistenziale che i nazisti chiamarono «Orchestra Rossa»: Harro e Libertas (sì, Libertà!) Schulze-Boysen, nata a Parigi; Arvid Harnack e Mildred Fish, ragazza bionda del Wisconsin che per amore si trasferì in Germania e finì anche lei nelle mani dei nazisti. La torturarono prima di condannarla a morte, per volere personale del dittatore: e pensare che fino all’ultimo giorno di vita, nella sua cella, la professoressa Mildred Harnack-Fish, americana, continuava a tradurre il sommo tedesco Goethe in inglese. Convinta (a ragione) che, alla fine, anche la Germania che le rubava la vita avrebbe ritrovato la poesia dopo l’orrore, le radici calpestate della bellezza.